Addio, mio straniero
Ci avevano venduto l'America come la terra delle opportunità, ma la storia ha più volte dimostrato che la realtà è ben diversa. Lo straniero rappresenta una risorsa e si accoglie solo a determinate condizioni, altrimenti si rispedisce a casa con un calcio ben assestato e senza troppo dar peso alla dignità che pretenderebbe ogni essere umano. Così, i clandestini si aggirano come spettri per le strade, abitano gli edifici, con l'incubo continuo di essere scoperti ed espulsi, sputati fuori da quella che negli anni è diventata la propria casa. Ciò che è scomodo non è facile da raccontare, i fantasmi è preferibile mantenerli nell'ombra, così da credersi pulite le coscienze. Thomas McCarthy, attore che con Station Agent abbiamo imparato a conoscere anche come bravo regista, ha invece la sensibilità giusta per raccontare l'altro e per smascherare le squallide regole del vivere ordinato, per entrare quindi nelle vite di chi sa che il tetto sulla propria testa potrebbe crollare d'improvviso tagliando la testa a quell'illusione di vita che si è costruita con fatica.
L'ospite inatteso è un film d'incontri che spiega come gli esseri umani possano cambiarsi le esistenze quando la conoscenza e le emozioni intervengono nei rapporti interpersonali. D'altra parte istituzioni e autorità provvedono sistematicamente a distruggere sogni o anche solo quotidianità serene: non importa se sei onesto o se la tua presenza è importante per qualcun'altro, se hai sbagliato in qualche modo devi essere punito e la legge va applicata senza chiedere il permesso ai diritti fondamentali perché in un'epoca come questa, ossessionata dal terrorismo, non c'è spazio per ascoltare le tue giustificazioni. A farne le spese nel film è un musicista siriano che si ritrova improvvisamente in un centro di detenzione per immigrati clandestini dove le luci non si spengono mai. Il tramite per entrare in contatto con la ricchezza del suo mondo è invece un vecchio professore svogliato che trova in lui e nella sua giovane fidanzata senegalese quella scintilla di entusiasmo che può riaccendere una vita che sembrava non aver più nulla da dire. Pianoforte e percussioni si alternano ai silenzi degli sguardi e alle parole che rompono le distanze e stringono i personaggi in abbracci che i limiti fisici non lasciano consumare. Nella New York ferita dall'abominio dell'11 settembre, che si dichiara forte e fiera attraverso i simboli di sé stessa di cui si è tappezzata, si muovono le esistenze minime dei protagonisti de L'ospite inatteso che si incontrano e si sorprendono, scoprendo poco a poco ciò che si muove nel loro animo e li fa muovere. McCarthy rivela una grande delicatezza quando va a rubare i loro volti che traboccano un'umanità che lascia sbalorditi anche grazie alla bravura dei protagonisti. L'interpratazione di Richard Jenkins, nel ruolo di un vedovo che viene richiamato alla vita dall'incontro con lo straniero che gli tende la mano, è addirittura prodigiosa e commuove nella sua profonda discrezione e nella capacità di tratteggiare con estremo garbo un rapporto che si modella giorno per giorno su quello che intercorre solitamente tra un padre e un figlio. Ma gli esseri umani sono piccoli e c'è sempre qualcosa di più grande e incomprensibile pronto a separarli, a sputare via l'indesiderato. Ci si potrebbe immaginare drammi gridati, una disperazione che straborda nella parodia, e invece le emozioni in gioco rimangono solo accennate, chiedendo allo spettatore lo sforzo di completarle con ciò che si smuove nel proprio di animo. Ne esce fuori un ritratto di grande potenza dei nostri tempi, di un mondo che dà e toglie in cui i modi barbari coi quali vengono applicate le leggi sono le tracce di un orrore col quale dobbiamo confrontarci. Da manuale il finale, splendido e toccante tributo a chi ha lasciato una traccia indelebile nel proprio cuore.