Addio chitarre sognanti
Una grande malinconia ci coglie nell'assistere al primo film da regista di Fabrizio Bentivoglio, opera minima di musica, voci e atmosfere di un tempo che fu, non troppo lontano, dove s'erano già dovuti accantonare i sogni per essere sputati nella realtà di un mondo che offre solo occasioni bugiarde. E così l'attore milanese, che si arrischia dietro la macchina da presa affascinato dai racconti di un musicista degli Avion Travel, band con la quale ha condiviso il palco girando l'Italia per oltre cento spettacoli, accompagna sul grande schermo l'eco nostalgica degli anni '70, tra il sale del mare del Sud e la nebbia di una città fantasma del Nord, miraggio dentro il quale si è costretti a vivere in perenne attesa. Lascia perdere Johnny fotografa l'estate del '76, stagione gravida di un diciottenne dalla lunga chioma innamorato della chitarra, che entra nell'universo labirintico degli adulti in punta di piedi, cercando il proprio posto sul palco e nel mondo, perso nel groviglio dei propri pensieri, delle domande rimaste inespresse. Ma dopo l'estate delle speranze, per il protagonista viene il gelido inverno del disorientamento, della nebbia di una città sconosciuta che non sa sposarsi coi suoi desideri.
Bentivoglio scava con malinconia nel passato e ci imbocca di immagini dal sapore agrodolce e di un umorismo tragico, dipingendo una galleria bizzarra ed umana di sognatori precocemente appassiti e perdenti che non sanno più dove cercare riscatto. Otto mani per scrivere la sceneggiatura, ma la storia non esiste, perché Lascia perdere Johnny è opera personale che s'affida soprattutto a sensazioni, musiche, immagini di un "come eravamo" certamente nostalgico, ma mai autoindulgente. Tra i personaggi e nelle canzoni del film tornano sempre gli arrivederci rassegnati, le sparizioni improvvise, gli appuntamenti non onorati. La fiducia che sostiene i rapporti è destinata ad essere delusa, perché promettere anche solo polvere di sogni significa impegnarsi in qualcosa di troppo grande, che non può essere soddisfatto, ed ecco allora che nel timore di vedere gli occhi dell'altro spegnersi si preferisce allontanarsi, scomparire, fuggire dalle proprie responsabilità, mentre nell'aria s'apre una canzone triste che canta un crooner accompagnato da un'orchestra che non c'è. Perché neppure per l'Arte ci sono certezze, ma solo la speranza di riuscire a trovare un modo qualunque per esprimersi.
Il film è certamente pieno di difetti, dal didascalismo ai numerosi tempi morti, dalla superflua ridondanza di situazioni e sensazioni alla mancanza di una storia forte, eppure certe immagini (quelle di Toni Servillo tra le luci colorate del tetto di un palco, quelle notturne degli artisti insoddisfatti sul motoscafo sotto la luna, o ancora quelle del Natale di nebbia e solitudine nel mistero del Nord) sono fortemente evocative e riescono ad entrarci dentro, a farsi largo nelle nostre emozioni, raccontando una disillusione tenera nella sua inevitabilità. Fotografato con la precisione e il tocco inconfondibile di un sempre bravo Luca Bigazzi e ottimamente interpretato da un pool di grandi attori (Toni Servillo, Lina Sastri, Ernesto Mahieux, Valeria Golino oltre allo stesso Bentivoglio e alla nuova leva Antimo Merolillo) Lascia perdere Johnny è un'opera prima incompiuta, che sembra imboccare la strada del racconto di formazione per poi lasciarsi confondere e intrappolare da quelle sensazioni dalle quali dovrebbe solo lasciarsi sfiorare. Eppure sono proprio queste sensazioni ciò che ci affascina, perché in esse possiamo ritrovare un pezzo di noi, dei nostri piccoli sogni infranti, perché tra un sogno e la sua realizzazione ci sono sempre di mezzo mari e nebbie impossibili da superare.