Un assioma di cui è impossibile non tener conto in questa recensione di A un metro da te riguarda la natura stessa di un film del genere: un prodotto che si rifà al paradigma dei cosiddetti weepie adolescenziali, il filone dei film che fanno piangere rilanciato quasi cinque anni fa dal successo di Colpa delle stelle, e costruito a uso e consumo di un target ben preciso di pubblico. Primo lungometraggio cinematografico diretto dall'attore televisivo Justin Baldoni, A un metro da te mette al centro del racconto la storia d'amore fra Stella Grant e Will Newman, una coppia di teenager accomunati dalla difficoltà di convivere con la fibrosi cistica, con tutti i rischi e le limitazioni che tale malattia comporta.
Sei piedi di separazione (anzi, cinque)
Il titolo del film, A un metro da te, costituisce una sorta di approssimazione dell'originale Five Feet Apart: i suddetti "cinque piedi" (ovvero un metro e mezzo) rappresentano infatti la distanza di sicurezza che Stella sceglie di mantenere fra se stessa e Will, in modo da evitare che lei e il giovane possano essere contaminati dai rispettivi batteri, aggravando così le proprie condizioni. Si tratta di trenta centimetri in meno della norma di sei piedi di separazione imposta a Stella dai medici: un piccolo, simbolico atto di 'ribellione', da parte della ragazza, contro un destino malevolo che limita drasticamente le sue azioni e la sua libertà, ma che non è riuscito a piegarne la voglia di vivere.
Stella, pertanto, adempie con metodica precisione i rituali delle sue cure e delle medicine da prendere ed è una vera paziente modello, amata tanto dal personale, quanto dagli altri pazienti dell'ospedale in cui è ricoverata. Ha un canale YouTube attraverso il quale propone dei video-diari in cui espone i vari aspetti della sua malattia (l'elemento prettamente 'didattico' del film), senza mai rinunciare a una solarità e un vitalismo messi a dura prova non solo dai suoi problemi di salute, ma anche dal lutto per la perdita della sorella maggiore Abby. L'elevato tasso drammatico della materia narrativa viene però declinato in chiave romantica a partire dall'incontro fra Stella e Will, ennesima variante del teenager dall'atteggiamento spavaldo e refrattario alle regole, ma in realtà profondamente sensibile e pronto a tuffarsi anima e corpo in questa relazione.
Un debole epigono di Colpa delle stelle
A prestare il volto ai due protagonisti di A un metro da te sono la ventitreenne Haley Lu Richardson, comparsa in piccoli ruoli in Split e 17 anni (e come uscirne vivi) e decisamente convincente nei panni della volitiva Stella (il carisma della Richardson è forse il maggiore punto di forza del film), e il ventiseienne Cole Sprouse, fra le star della serie TV Riverdale. Due interpreti che, grazie alla loro buona alchimia, riescono a sopperire almeno in parte ai limiti della sceneggiatura di Mikki Daughtry e Tobias Iaconis, troppo vincolata ai cliché del caso e alle convenzioni del filone per conferire autenticità ai personaggi in gioco. I comprimari, invece, si limitano ad assolvere le proprie funzioni: dall'infermiera Barbara (Kimberly Hebert Gregory), che tiene d'occhio il reparto con affettuosa severità, a un altro giovane paziente, Poe (Moises Arias), riconducibile alla consueta categoria del "miglior amico gay della protagonista". Del tutto inconsistenti al contrario le figure dei genitori, relegate sullo sfondo e prive di qualunque spessore.
Se comunque nella prima parte la pellicola di Justin Baldoni, pur senza brillare per originalità, risulta complessivamente gradevole e regala anche qualche momento piuttosto intenso, successivamente purtroppo gli sceneggiatori si lasciano prendere la mano: ecco dunque un improvviso accumulo di scene madri e di sequenze più o meno ricattatorie, in primis una temporanea "fuga d'amore" che confonde il sentimento con il sentimentalismo e finisce per dissipare ogni barlume di credibilità. Tanto che neppure l'empatia verso i due protagonisti è sufficiente a riscattare un epilogo davvero pessimo, che vorrebbe seguire l'esempio (già di per sé non eccelso) di Colpa delle stelle ma perde il confronto su tutta la linea.
Conclusioni
Se per un prodotto come quello realizzato da Justin Baldoni le aspettative sono limitate giocoforza da regole ed esigenze del filone d’appartenenza, nella nostra recensione di A un metro da te non abbiamo potuto non rilevare, tuttavia, i difetti di scrittura e gli eccessi di sentimentalismo che, nell’ultimo atto del film, conducono a svolte manipolatorie e a sequenze drasticamente forzate e artificiose. Cole Sprouse e soprattutto la protagonista femminile, Haley Lu Richardson, appaiono come due efficaci scelte di casting, ma non bastano a sopperire ai punti deboli di un’opera povera di ambizioni e di idee forti.
Perché ci piace
- La valida interpretazione di Haley Lu Richardson, in grado di conferire un certo spessore alla protagonista.
- La discreta efficacia della prima parte del film, con un amalgama fra i registri del dramma e della commedia.
Cosa non va
- Una seconda parte che si dimostra, al contrario, estremamente artificiosa e manipolatoria.
- Alcuni sviluppi narrativi forzatissimi, che fanno perdere al film qualunque effettiva credibilità.
- Un pessimo finale che si adagia sulle convenzioni dei weepie adolescenziali nella maniera più scontata possibile.
Movieplayer.it
2.0/5