La didascalia in apertura del film collettivo Eight, presentato fuori concorso alla terza edizione del Festival di Roma, sottolinea il fatto che tutto ciò che si appresta a scorrere sullo schermo è frutto delle scelte dei singoli registi e che quindi non può essere considerato una posizione condivisa dalla Nazioni Unite. In effetti, se un film deputato a illustrare gli otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio dell'ONU mette subito in chiaro la presa di distanza dal prodotto da parte della stessa organizzazione un motivo c'è ed è il segmento How can it be? diretto da Mira Nair e dedicato al tema della parità dei sessi e dell'autonomia delle donne, che sembra aver fatto infuriare una funzionaria dell'agenzia di Ginevra per il timore che la storia narrata potesse offendere l'Islam. Dietro la minaccia di togliere il logo ONU se non fosse stato ritirato l'episodio della Nair, i produttori hanno difeso le scelte artistiche della regista e l'autonomia del progetto, rifiutando così di piegarsi a quello che di fatto è stato un vero e proprio ordine e andando avanti per la propria strada senza l'appoggio dell'ONU. "Il mio film è stato ispirato da una storia vera - spiega la regista indiana che ha girato la sua storia a Brooklyn - la quale ha scelto di lasciare marito e figlio per diventare la seconda moglie di un altro uomo. In casi come questo bisogna considerare il fatto che la libertà non è un regalo, presuppone un prezzo da pagare che spesso è molto alto ed è dolore e rimpianto. Lei ha fatto comunque la sua scelta nei confini della sua fede e ha deciso di lasciare il marito solo dopo che questi l'ha liberata. Le donne col velo sono sempre identificate come senza diritti, ma i burka sono potenti simboli di identità e sotto di essi ci sono sempre esseri umani. Tengo però a sottolineare che la libertà non è un regalo impacchettato con un bel nastro."
Il progetto Eight nasce per favorire la conoscenza di un'importante iniziativa intrapresa nel settembre del 2000 da tutti i 191 stati membri dell'ONU che si sono impegnati a raggiungere, entro il 2015, otto obiettivi per far ridurre la povertà e promuovere lo sviluppo nei paesi più poveri. "Questo film si rivolge al pubblico - interviene Wim Wenders, tra gli otto registi che hanno preso parte al progetto - ma la soluzione ai problemi che pone è solo nelle mani dei governi. La gente può comprendere l'urgenza degli obiettivi del nuovo millennio, ma la responsabilità è dei governi che dovrebbero rispettare le proprie promesse. E' un film che chiede al pubblico di agire, di farsi sentire, di fare in prima persona un lavoro di sensibilizzazione. Se i paesi si comportassero come le persone, forse le cose non starebbero così nel mondo." Ad aprire il film è l'episodio Tiya's Dream diretto da Abderrahmane Sissako che si concentra proprio sul primo dei punti della Dichiarazione del Millennio firmata dalle Nazioni Unite: "Per me è importante rappresentare la povertà in Africa - dichiara Sissako - ma ho voluto allontanarmi dalla solita visione televisiva che si dà del problema, interessandomi all'avvenire, mostrando la consapevolezza dei bambini che si scontrano ogni volta con le difficoltà di una vita fatta di miseria. Certo, un film non può cambiare il destino dell'Africa e degli altri continenti, ma può spingerci per esempio a riflettere su cosa si può fare oggi per condividere la ricchezza che c'è da altre parti nel mondo."
Jane Campion si è invece confrontata con il settimo obiettivo, volto a garantire la sostenibilità ambientale: "Non ho scelto io questo obiettivo - confessa la regista australiana - ma mi è stato assegnato. Per noi in Australia l'acqua è qualcosa di fondamentale e il problema della sua scarsità è di grande importanza e sempre più gente è sensibile a questo tema, quindi mi sembrava giusto girare un film del genere nella mia terra." Una bella occasione con questo film l'ha poi trovata Gael Garcia Bernal che debutta alla regia col corto The Letter ambientato in Islanda e che ha come protagonista un padre che ricorda che l'istruzione è l'unico modo per essere liberi: "Sono stato invitato a fare un breve filmato sull''obiettivo di garantire l'educazione primaria universale entro il 2015 - rivela l'attore messicano - e per me si è trattata di una grande sfida. In quel periodo stavo lavorando a teatro in Islanda ed è stato quindi solo un caso se il film è stato girato in quei luoghi. Mi è sembrata una bella opportunità allargare lo sguardo e dare al tema una sorta di sfumatura trascentale." Si è potuto invece affidare a un'esperienza maggiore Gaspar Noé che in Sida racconta di un uomo infetto dal virus dell'HIV in un ospedale del Burkina Faso: "A differenza degli altri, mi sono dovuto confrontare con un argomento meno ampio - spiega il regista di Irréversible - perché ero chiamato a parlare della lotta all'AIDS. Dovevo solo decidere se concentrarmi su un singolo aspetto come il difficile accesso ai medicinali o adottare un punto di vista più personale. Volevo utilizzare tutte le armi del linguaggio cinematografico facendole confluire in una sorta di documentario. Sono partito senza sceneggiatura e ho ripreso quattro persone contagiate dal virus, tre uomini e una donna, per raccontare come si rapportassero alla malattia. Tra le quattro, una mi è sembrata più emblematica e ho scelto di mostrare quella, facendo intrecciare nei pensieri del protagonista morte, progenitura e religione."
Altri due registi chiamati a illustrare altrettanti obiettivi in Eight sono stati Gus Van Sant e Jan Kounen. Il primo ha svelato i numeri legati alla mortalità infantile, mentre il regista olandese si è invece interessato al tema della salute materna, in un episodio girato in bianco e nero tra i più toccanti dell'intera opera. A chiudere il film Person to Person, segmento firmato Wim Wenders sull'ottavo e ultimo degli obiettivi fissati dalle Nazioni Unite, dedicato al partenariato mondiale per lo sviluppo. In particolare, nel corto di Wenders si spiega la dottrina del microcredito di Junus come possibile soluzione per lo sviluppo del commercio nei paesi più poveri. "Il problema dell'ottenimento di una partnership globale era piuttosto astratto - rivela Wenders - e i produttori devono aver pensato che fossi io il più adatto a parlarne in quanto tedesco! Ciò che veramente aiuterebbe i paesi poveri è il commercio, ma i paesi ricchi non hanno nessuna intenzione di favorire il suo sviluppo. Non volevo chiudere però il film con artomenti deprimenti e abbiamo pensato che l'ipotesi del microcredito fosse una soluzione ottimale, perché grazie a essa basta davvero poco per favorire lo sviluppo. Spesso la percentuale enorme dei crediti erogati col microcredito sono erogati a donne, probabilmente perché più responsabili. La crisi finanziaria di questi giorni rende gli obiettivi più difficili da raggiungere e ho il timore che non saranno tanto i ricchi a patirne le conseguenze, ma piuttosto i poveri, perché i primi potrebbero non essere più disposti a rispettare quanto già firmato."