Shriver è diventato famoso pubblicando un romanzo molti anni addietro ma dopo quell'esordio di così grande successo di lui non se ne è saputo più nulla. Ma Shriver è anche un tuttofare attualmente al verde, che trascorre le proprie giornate autocommiserandosi nei bar, per poi far ritorno alla catapecchia ammuffita che è la sua casa; ora gli si presenta un'occasione per poter ritrovare se stesso...
Come vi raccontiamo nella recensione di A Little White Lie, Shriver viene infatti contattato da Simone Cleary, dirigente del college di una piccola comunità, affinché partecipi all'annuale convention letteraria, ultimamente a corto di fondi e quindi costretta a chiamare nomi meno altisonanti del solito. Nonostante i suoi timori e la paura di essere scoperto, Shriver accetta la proposta e si ritrova alle prese con la propria coscienza, in un bizzarro gioco tra verità e finzione.
Crisi di identità
Una di quelle classiche commedie del cinema indipendente americano che appaiono come un gradevole toccasana, capace nella sua semplicità di intrattenere con gusto e simpatia per la canonica ora e mezza di visione. A Little White Lie non culla eccessive ambizioni se non quella di raccontare una storia dal tono dolce-amaro in grado di conquistare un pubblico eterogeneo, pronto ad appassionarsi alla vicenda di questo autore dimenticato pronto a una potenziale riscossa. Riscossa che come d'uopo dovrà andare incontro a diversi ostacoli prima di dirsi effettivamente compiuta, con tanto di tourbillon romantico d'ordinanza ad aggiungere quel pizzico di pepe sentimentale in più e a completare un quadro d'insieme piacevolmente classico. L'elemento maggiormente riuscito a livello narrativo è nell'ambiguità del protagonista: il vero autore che soffre della sindrome dell'impostore o un impostore vero e proprio?
Quei fantastici peggiori anni della nostra vita: 10 film indie che arrivano dritti al cuore
Dalla carta allo schermo
La sceneggiatura è, quasi per paradosso, adattamento del romanzo Shriver di Chris Belden e riesce a mantenere sospeso il dubbio fino alla risoluzione conclusiva, dove progressivamente tutti i nodi vengono al pettine e riconsegnano il solo epilogo possibile. A Little White Lie gioca con sussultanti tocchi visionari, a cominciare dal doppelganger con cui il Nostro si trova a dialogare in più occasioni per riflettere sulle sue azioni, e si adombra di liete svolte melanconiche, pur cedendo il passo in certi risvolti ad alcune forzature. Questa piccola cittadina dove hanno luogo gli eventi diventa ben presto un luogo familiare e la buona gestione dei numerosi personaggi secondari riesce a garantire una discreta varietà di situazioni a un plot base altrimenti fin troppo risicato, tutto concentrato sul legame in divenire tra il protagonista e la bella dirigente, crisi di personalità inclusa.
Tra il dire e il fare
Alcune scelte di montaggio e una recitazione a tratti apparentemente improvvisata sono sintomi dovuti a una rocambolesca gestione delle riprese, con una lunga pausa nel mezzo per poi chiudere in fretta e furia nell'arco di pochissimi giorni, in una sorta di vera e propria lotta contro il tempo nonché contro la sfortuna: il regista e sceneggiatore Michael Maren ha affrontato anche gravi problemi di salute nelle fasi produttive. Per quello viene facile perdonare alcune ingenuità, comunque mai preponderanti, e ad ogni modo il cast frizzantino compensa ampiamente i punti deboli. Michael Shannon, attore straordinario troppo spesso dimenticato dal grande cinema, qui è ancora una volta perfetto e trova ideale spalla in Kate Hudson, con un folto stuolo di comprimari e guest-star capitanati da Don Johnson e Zach Braff.
Conclusioni
"È lui o non è lui?", questa è la domanda che a un certo punto lo spettatore è spinto a porsi nel tentativo di decifrare l'identità del vero Shriver, scrittore in crisi di ispirazione o impostore senza ritegno. Michael Shannon si presta con istrionismo al tragicomico ruolo, accompagnato da un cast all'altezza: come vi abbiamo raccontato nella recensione di A Little White Lie, questa commedia indie è frizzante e gradevole al punto giusto, imperfetta ma accattivante nella sua piacevole ambiguità di fondo. Emozioni semplici e dirette, che arrivano immediate senza cedere alla retorica o risultare stucchevoli, per un'ora e mezzo che intrattiene con brio.
Perché ci piace
- Michael Shannon guida un ottimo cast.
- Una storia semplice ma non banale.
- Simpatia e malinconia a braccetto, nella migliore tradizione del cinema indie.
Cosa non va
- Qualche forzatura in fase narrativa è evidente.