Nostalgico e affettuoso. È questa l'impressione che dà James Ivory quando sale sul palco della Festa del Cinema di Roma per la conferenza stampa di A Cooler Climate, il documentario da lui scritto e diretto, con la co-regia di Giles Gardner. Il doc, presentato in anteprima alla Festa, è solo uno dei tanti eventi che coinvolgerà l'amato autore americano - spesso erroneamente scambiato per inglese, ma come dice lui scherzando "la gente è semplicemente pigra" - tra cui anche una masterclass. Ivory ha raccontato non solo la genesi di questo progetto, rimasto sopito per 60 anni, ma anche la collaborazione con Luca Guadagnino per Chiamami col tuo nome, di cui ha curato la sceneggiatore.
A Coooler Climate, un doc che stava per fare la polvere
Le immagini del documentario sull'Afghanistan sono state trasformate in un documentario vero e proprio per caso, come racconta James Ivory: "Negli anni le avevo mostrate ad amici e parenti, ma erano tornate sempre nella loro scatola. Alla fine le ho fatte vedere a Giles Gardner e si è dimostrato da subito molto interessato, come se fosse un segno, perché lui stesso doveva raccontare l'Afghanistan. Fu lui a pensare che sarebbe stato interessante ricavare un film da quel materiale. Se lo portò in Francia e non ne sentii più parlare per un po', ma poi ci rimettemmo mano in modo altrettanto casuale e informale". D'altronde quando girò quelle immagini 60 anni fa Ivory si era spostato proprio per ciò che dà il titolo al doc: "un clima più mite". L'aria a Delhi in India era invivibile, anche se si vergogna un po' ad ammetterlo. Non sapeva una parola di farsi e quindi fu proprio un'avventura, aveva delle persone che lo aiutavano in questo e girò il più possibile, tutto ciò che lo interessava o incuriosiva, ad esempio come si realizzavano i mattoni. "Non c'era un'idea formale di che cosa sarebbe diventato. Spesso molti film succedono senza una grande idea dietro ma la si trova aggiungendo materiale e penso che questo film sia uno di quelli". Anche la realizzazione con la selezione del materiale e il montaggio è stata complicata perché Gardner era a Parigi e Ivory a New York: lavoravano di persona insieme ogni volta che si ritrovavano, e per il resto a distanza durante la pandemia. Dice Giles Gardner: "Ogni volta Jim mi portava un nuovo tesoro, una mappa antica dell'Afghanistan, un diario di riprese, un blocco di lettere per sua madre, che davano una nuova direzione alla storia. Tutti elementi che sono diventati parte del tessuto narrativo del doc."
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Un segno del destino
A Cooler Climate era un progetto personale per entrambi i registi, e forse anche un segno del destino. Mentre Gardner visionava a Parigi il materiale identificò una tomba, quella del Re Babur, e attraverso un libro entrambi divennero edotti sulla sua storia, tanto da trovare il parallelismo tra quello che Ivory aveva filmato e il modo in cui il Re vedeva Kabul. La sua tomba era l'unica cosa mai costruita in Afghanistan, pare dallo stesso realizzatore del Taj Mahal. Anche il produttore sentiva che il progetto poteva essere forte, pur non essendo mai stato in quelle terre, perché poteva parlare a tutte le età. Babur era un Re che nel 1500 andò a Kabul ed ebbe un così caro ricordo da voler essere tumulato lì, pur essendo morto in India. Come se ci avesse lasciato un pezzo di cuore. Come si dice nel doc "Se c'è un paradiso nel mondo, è qui, è qui, è qui". Secondo Ivory è come se in India avesse perso qualcosa, una nostalgia verso la propria adolescenza, quando era giovane e innocente, e anche per Gardner è bello che volesse tornare indietro.
Un Paese in pace
Siamo fin troppo abituati ad associare Kabul alla guerra, all'inferno e non al paradiso, al suo essere teatro di violenza, di abusi, di una guerra sanguinolenta. Ma all'epoca era un periodo di pace. "È una guerra che non riescono a smettere, non vincono mai ma continuano a combattere. Tutto parte dall'impossibilità degli stranieri di controllare l'Afghanistan". Aggiunge Giles Gardner: "All'inizio ne avevamo discusso di raccontare gli invasori, prima inglesi poi americani russi e così via, di quella terra, ma il documentario ha preso invece la piega di far vedere un Paese con alberi, paesaggi, persone, come tutti gli altri. Aspetti che sembrano oramai dimenticati ma che volevamo far riscoprire alla gente". Uno sguardo diverso secondo entrambi: "Potevi sentire il sole sulla pelle, la brezza addosso e il sapore del cibo attraverso quelle immagini". Un Paese in pace senza problemi di confini, con un Re che viveva a palazzo, ma non un'immagine ingenua: si parlava comunque della CIA che voleva costruire dei campi.
Tra Mr. & Mrs. Bridge e Chiamami col tuo nome
Se James Ivory dovesse scegliere un film della sua lunghissima filmografia che gli è rimasto nel cuore sarebbe proprio quel Mr. & Mrs. Bridge del 1990 con Paul Newman e Joanne Woodward che ha ispirato la locandina di quest'anno della Festa del Cinema: "Lo trovo molto autobiografico, è ambientato a Kansas City nel Missouri ma mi ricordava il contesto sociale del mio Oregon". Riguardo alla collaborazione con Luca Guadagnino per Chiamami col tuo nome, invece racconta: "Un mio amico che lavora nelle ristrutturazioni si stava occupando di una casa i cui proprietari avevano comprato i diritti del libro di André Aciman e volevano farne un film. Volevano che partecipassi prima come produttore esecutivo e poi come una sorta di co-regista, ma io accettai solo a patto che mi lasciassero scrivere la mia sceneggiatura, perché quella in essere non mi sembrava rispettasse appieno il romanzo. Incredibilmente la amarono e non la vollero cambiare come di solito succede in questi casi". Quella sceneggiatura lo porterà all'Oscar.