È inclusivo, affascina, commuove, trasuda una tensione vitale che oltrepassa lo schermo e la capacità di portare lo spettatore dentro ai fatti è straordinaria. La potenza di A Ciambra di Jonas Carpignano -
trentatreenne autore italo americano vissuto tra New York e Roma e cresciuto tra i multiplex americani e il cinema di Luchino Visconti - è tale da aver fatto scendere in campo anche Martin Scorsese, diventato produttore esecutivo dopo aver visto delle foto e averne letto la sceneggiatura.
A Ciambra inizia il suo cammino a Cannes premiato come miglior film europeo alla Quinzaine des Réalisateurs; un trionfo annunciato dai giudizi entusiastici della critica internazionale e da quei dieci scroscianti minuti di applausi che lo accolsero al termine dell'anteprima cannense.
Alle origini un corto che avrebbe portato Carpigano a Venezia nel 2015, A Chjana (da cui poi sarebbe nato Mediterranea) girato a Gioia Tauro, e il rapporto d'amicizia con la comunità Rom del posto.
In bilico tra la crudezza del documentario e le sospensioni della fiction, il film che nel frattempo si prepara per la tappa di Toronto, nasce nella Ciambra di Gioia Tauro inseguendo con indolenza storie, abitudini, leggende e piccoli espedienti quotidiani di una famiglia in particolare, quella degli Amato. La chiave di accesso alla comunità è il quattordicenne Pio e il suo viaggio di formazione per diventare uomo, iniziato quando il fratello Cosimo finisce in carcere. Una storia che diventa lo spunto per soffermarsi, sempre con la giusta distanza, su alcuni aspetti della vita della comunità come ad esempio il rapporto con gli immigrati africani e con alcuni membri della 'ndrangheta locale.
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La giusta distanza
A Ciambra è solo l'ultimo esponente di quel filone giovane e sperimentatore che si è imposto negli ultimi due anni nel nostro paese, facendo parlare addirittura di una "piccola nouvelle vague del cinema italiano".
A differenza di molti suoi coetanei, però, Carpignano rievoca la lezione del neorealismo con il coraggio di farla propria, senza obbedire all'imperativo dell'operazione nostalgia. Un film simile non ha eguali, difficile non riconoscerne una identità che è soltanto sua e non ha precedenti, se non negli echi dei grandi Maestri.
Il grande pregio di un autore così libero da vincoli, perbenismi e civetterie autoriali è quello di saper portare lo spettatore dentro la Ciambra assieme a lui, tra i suoni confusi e strascicati di un idioma (il dialetto gioiese) che cadenzano il ritmo del racconto insieme alla musica remota di Dan Romer (lo stesso, tanto per intenderci di Beasts of No Nation o Re della terra selvaggia).
La narrazione, slegata da qualsiasi dovere morale, si abbandona ai tremolii della camera a mano, alla fotografia imperfetta, ai volti scavati, alle corse dei ragazzini, alla 'caciara' del campo e alle penombre della piana di Gioia Tauro consentendone un racconto che non cede né al folklore né all'indagine socio-antropologica.
Carpignano riesce a scavarsi una ideale 'terra di mezzo' in cui ci si può permettere di sospendere il giudizio, ma nello stesso tempo di avvicinarsi e guardare con solenne rispetto: guardare Pio che ruba rame, fuma e beve birra, guardare la sua famiglia raccontare aneddoti, spiare il viso di madri e mogli, matriarche consumate dalla vita, guardarli mentre con solerzia si preparano al prossimo furto d'auto o bruciano materiale di ogni genere.
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Tutti gli attori sono non professionisti e alcuni di loro come Koudus e Pio arrivano dal set del lavoro precedente, Mediterranea; il film, oltre che su una sapienza registica che avrà molto ancora da raccontarci, poggia sulla loro energia incontenibile e strabordante, che non avrebbe funzionato se non in quei luoghi perduti nel tempo. È in questo microcosmo che si inserisce il passaggio di Pio all'età adulta, in un universo fatto di trame familiari, leggende, aneddoti e una quotidianità 'criminale' che nessuno ha intenzione di camuffare o nascondere.
Non ci sarà nessuna parabola di redenzione, perché come dirà il nonno di Pio "siamo noi contro il mondo": il mondo di fuori che rimane a un passo dalla Ciambra, ad una manciata di chilometri tanti quanti bastano a creare una distanza incolmabile. Che per quasi due ore però sembra essersi arresa all'invasione di campo. È la magia del cinema che riesce a mostrarti migliaia di mondi possibili, a portartici dentro come in questo caso e poi a restituirti al reale, anche quando quello che hai visto sta dietro casa tua.
Movieplayer.it
4.0/5