"Quando ero piccola mia madre mi diceva sempre di scavare una buca per seppellire il mio dolore". Julie Lerat-Gersant invece a quel dolore decide di dare una forma, lo dissotterra, lo esplora e ci entra dentro attraverso la lente spietata del realismo. Il suo Petites - La vita che vorrei per te, come leggerete nella recensione del film, è un'opera prima struggente, lucida e di straordinaria vitalità sulla maternità precoce. Colpiscono il rigore estetico e la presenza scenica della giovanissima Phili Groyne, che veste alla perfezione e con rara grazia il ruolo dell'adolescente alle prese con una gravidanza indesiderata. Un esordio dal piglio quasi documentaristico che ci porta nel territorio del cinema del reale, dalle parti dei fratelli Dardenne; il film grazie alla Satine Film arriva in sala dal 26 ottobre.
Una storia di piccole donne
Julie Lerat-Gersant lo definisce "cinema sociale", l'intento era quello sin dall'inizio, da quando cioè la regista decise di trasferirsi per dieci lunghe settimane in un casa famiglia. Questo le avrebbe permesso di rimanere al centro della storia, "nell' intimità di un contesto d'incontro di ragazze, bambini ed educatori"; Petites - La vita che vorrei... per te si nutre della cronaca di quei giorni, del frastuono, dei pianti di neonato, delle discussioni, dei litigi e delle piccole rivolte di giovani madri ancora figlie. Sono le bambine ("petites") del titolo, adolescenti di 15 o 16 anni arrabbiate, chiassose, amorevoli, indomabili, tanto piccole da pensare ancora a divertirsi e da dimenticare di aspettare un bambino. Come la protagonista Camille (Phili Groyne), adolescente di appena 16 anni al quarto mese di una gravidanza inattesa, figlia a sua volta di una madre irrisolta e tossica alla quale deve fare spesso da mamma.
Un rapporto problematico che l'ha costretta a crescere in fretta, ma non abbastanza da credere di potersi occupare del bambino che porta in grembo. Dopo un tentativo di aborto illegale con la complicità della madre, Camille viene mandata dal giudice minorile in un centro di accoglienza per giovani gestanti. Smarrita, insofferente verso le regole e gli obblighi del centro e desiderosa solo di tornare dalla madre da cui è stata brutalmente separata, ha solo una cosa chiara in testa: quel bambino non lo terrà, una volta partorito lo darà in adozione. Nei sei mesi in cui sarà ospite della casa famiglia, Camille dovrà prendere le misure in quello strano microcosmo di coetanee, alcune già madri e altre in procinto di esserlo; nel corso della sua permanenza conosce Alison, una giovane madre un po' scapestrata e ancora immatura che vive con la piccola Diana. Un incontro che insieme a quello con l'educatrice del centro, Nadine, donna tanto appassionata quanto disillusa, cambierà per sempre il suo destino, ridefinendo il concetto di maternità.
Il romanzo di formazione
Ritratta nel suo cammino di crescita e indipendenza Camille si presenta con le sembianze dell'eroina del romanzo di formazione, colta sul confine tra infanzia e mondo adulto: se da un lato beve cioccolata, guarda i cartoni animati, mastica caramelle e corre sui roller, dall'altro affronta un corpo che cambia e gioca a fare la madre quando Alison le affida la piccola Diana "per respirare" un attimo. Tutto intorno vede il futuro che non è pronta ad accogliere: giovani madri con famiglie assenti o disfunzionali spesso incapaci di gestire i bambini che hanno appena partorito, strette tra una responsabilità genitoriale che non gli appartiene e la svagatezza dell'adolescenza. Una visione che la porterà ad un lento processo di adultizzazione: perché decidere di non tenere un bambino e affidarlo a qualcun altro è un atto di responsabilità, e forse il più estremo gesto d'amore. Nella ruvidità e nell'asprezza di quei momenti, tra fratture, incertezze e strappi Camille acquisisce una consapevolezza che prima non aveva e prova a trovare la propria strada. Lerat-Gersant le sta addosso con insistenti primi piani paracadutandola dal complesso di case popolari di Cherbourg, dove vive con la madre, alla casa famiglia abitata dal vociare scaltro di giovani adolescenti, urla di neonati, porte che sbattono. Come le altre anche Camille è una creatura inquieta attraversata dai tormenti tipici dell'età, ma tra una pattinata sui roller, una corsa in bicicletta e l'amorevole e quieta presenza del giovanissimo fidanzato, alla fine di questo folle viaggio forse avrà imparato a correre, volare e crescere. E a essere più libera e coraggiosa.
Conclusioni
Al termine della recensione di Petites - La vita che vorrei... per te rimane una consapevolezza: quella di aver trovato una nuova autrice. Julie Lerat-Gersant ha ancora molto da raccontare, per ora non ci resta che incoraggiare la visione di un’opera prima struggente, lucida e di straordinaria vitalità. Un film caratterizzato dal rigore estetico e da una grande attenzione ai dettagli, con un approccio documentaristico che ci porta nel territorio del cinema del reale, dalle parti dei fratelli Dardenne. Nota di merito per la giovanissima interprete Phili Groyne, che veste con rara grazia il ruolo dell’adolescente alle prese con una gravidanza indesiderata allontanandolo dalla retorica e dagli stereotipi a cui la narrazione di genere ci ha abituati.
Perché ci piace
- Un’estetica da cinema del reale.
- L’approccio documentaristico.
- L’attenzione ai dettagli tramite i quali la regista catapulta il pubblico dentro la vita di un centro per giovani madri.
- La giovane interprete che arricchisce di sfumature il ruolo dell’adolescente alle prese con una gravidanza inattesa e lo allontana da cliché.
Cosa non va
- Complice forse la scelta di uno stile essenziale che abdica agli eccessi, il coinvolgimento emotivo latita.