Scrivendo la recensione di 8 Rue de l'Humanité, commedia francese disponibile in esclusiva su Netflix, viene inevitabilmente da pensare a un altro film, di matrice italiana, uscito lo scorso autunno subito prima che scattasse la seconda chiusura dei cinema; anche lì era questione di prima ondata e di lockdown, in un progetto realizzato al volo (le riprese si sono svolte durante l'estate e il film finito era in sala a ottobre) per sfruttare il fattore attualità e rielaborare in chiave pandemica gli espedienti narrativi di certe commedie nostrane (una storia di corna, con i fedifraghi costretti a rimanere chiusi in casa con i rispettivi coniugi). Nel caso di Dany Boon, che del nuovo lungometraggio arrivato direttamente in streaming - nonostante il suo rapporto solido con il colosso transalpino Pathé - è regista e protagonista, c'è una maggiore cura dietro l'operazione, che è stata girata in Belgio (per ragioni di tax credit) tra novembre e dicembre 2020 e debutta in contemporanea mondiale quasi un anno dopo.
Pandemia canaglia
8 Rue de l'Humanité è l'indirizzo del condominio parigino dove si svolge la storia (i francesi tendono a mettere il numero civico per primo), nel momento in cui scatta il primo lockdown indetto da Emmanuel Macron nel marzo del 2020. Martin Becquart (Dany Boon), illustratore scientifico, è quello che reagisce nel modo più estremo, arrivando a pretendere che tutti rispettino le misure di sicurezza, minacciando addirittura di non far entrare in casa la moglie Claire (Laurence Arné) quando sospetta che lei abbia sgarrato. La sua paranoia diventa fonte di irritazione per l'intero palazzo, soprattutto quando gli altri inquilini vogliono approfittare della pandemia e delle restrizioni per conoscersi meglio tra vicini mentre lui cerca a tutti i costi di evitare contatti umani superflui, limitandosi sostanzialmente a interagire con la famiglia, il custode e un medico che sta cercando di trovare una soluzione al problema testando vari farmaci su alcune cavie che gli sono capitate sottomano...
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Ridi e lascia morire
Dal 2008, quando ha conquistato il box office d'oltralpe con l'esordio registico Giù al nord (da cui è poi stato tratto l'italico Benvenuti al Sud), Boon si è fatto notare al cinema per una comicità che punta sulla messa alla berlina dei luoghi comuni e sull'uso di archetipi, a volte anche in connessione con l'attualità (nel 2013, come solo attore, è stato protagonista di un film che si svolgeva durante l'eruzione vulcanica islandese che qualche anno addietro aveva creato problemi per le compagnie aeree). È l'approccio che c'è dietro il nuovo film, che si serve dei primi mesi della pandemia per mettere in scena una galleria di personaggi altamente stereotipati, esattamente come faceva Enrico Vanzina in Lockdown all'italiana, e puntare sulla simpatia dei vari interpreti (nel cast ci sono anche François Damiens e Yvan Attal). Con la differenza che il comico francese, sulla carta, ha avuto più tempo per lavorare al progetto, eppure il risultato è più o meno lo stesso: una collezione di gag banali e prevedibili, senza alcun guizzo di vera creatività, un bignami di quasi due ore su tutti i cliché pandemici (inclusi quelli arrivati dopo la prima ondata) dove il massimo della satira è quando Damiens, difendendosi da accuse di razzismo dopo dei commenti poco eleganti su una vicina di casa di origine nordafricana, se ne esce con "Anch'io sono immigrato, vengo dal Belgio!". Al netto del titolo, viene a mancare proprio il fattore umano.
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Rispetto al collega italiano, che firmava il suo esordio alla regia dopo decenni di sola scrittura e produzione, Boon ha una maggiore cura formale del proprio progetto (non ci sono evidenti problemi di composizione delle inquadrature o di montaggio), ma rimane la sensazione, in entrambi i casi, e forse ancora di più con il cineasta francese che oltre alla firma in calce ci mette anche la faccia in quanto volto comico dell'operazione, che la crisi sanitaria fosse solo una scusa per mettere in scena i soliti tristi siparietti senza davvero riflettere su come si possa usare la maschera umoristica per esorcizzare in modo efficace le paure contemporanee (da quel punto di vista, per quanto riguarda le produzioni del 2021, rimane irraggiungibile la satira graffiante del rumeno Radu Jude e del suo Sesso Sfortunato o follie porno, inscindibile dal periodo in cui è stato realizzato sul piano tematico, narrativo e formale). E se da un lato si capisce perché si sia deciso di puntare su Netflix, per raggiungere subito un bacino d'utenza più largo rispetto a quello del circuito distributivo tradizionale, dall'altro tocca constatare con un po' di amarezza quanto questo sia l'ennesimo esempio del luogo comune della piattaforma come luogo dove vanno a morire, senza effetto comico annesso, le produzioni internazionali più pallide e anonime.
Conclusioni
Nel chiudiamo la recensione di 8 Rue de l'Humanité, sottolineiamo come la commedia transalpina di Netflix, nonostante la simpatia di tutte le persone coinvolte, fatichi a strappare mezzo sorriso scherzando sul primo lockdown e sugli effetti che ha avuto sulla gente, limitandosi a inanellare cliché su cliché.
Perché ci piace
- Il cast è affiatato e complessivamente simpatico.
- Alcune gag hanno degli spunti interessanti...
Cosa non va
- ... ma li elaborano in modo maldestro.
- La comicità di Dany Boon non è del tutto compatibile con la componente più umana che il film vuole mettere in scena.