Sette persone, tutte con qualcosa da nascondere. Un albergo situato sul confine esatto tra due stati americani, la California e il Nevada. Una notte di tensione, segreti e grande musica. Questi sono gli ingredienti di 7 sconosciuti a El Royale, il film che è stato scelto per inaugurare l'edizione 2018 della Festa del Cinema di Roma, prima di arrivare nelle sale italiane il 25 ottobre, distribuito dalla 20th Century Fox. Ad accompagnare la sua opera seconda alla Festa del Cinema di Roma 2018 - qui potete leggere la nostra recensione di 7 sconosciuti a El Royale - c'era il regista Drew Goddard, insieme alla giovane attrice Cailee Spaeny, che interpreta il personaggio di Rose. I due hanno incontrato i giornalisti subito dopo la proiezione per la stampa.
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Un luogo inusuale
Oltre al cast notevole, un grande protagonista del film è la location, l'hotel El Royale. Cosa rappresenta quel luogo e come è stato ricostruito il mondo del film? "Creare mondi è una delle cose che mi piacciono di più", spiega Drew Goddard. "L'importante sono i personaggi, e l'albergo rappresenta quei sette individui, la dualità, i loro segreti. La dualità sta anche nell'albergo, al confine tra due stati, e ne abbiamo tenuto conto per ogni dettaglio dell'impianto scenografico." La seconda domanda è per Cailee Spaeny: com'è stata l'esperienza recitativa, in un ruolo non facile? "Con Drew ho parlato molto nei dettagli della vita di Rose, e vedere il film con il pubblico è stato molto interessante. Mi hanno spesso chiesto come gestissi le transizioni, ma secondo me Rose è sempre stata così. È stato molto divertente lavorare sul lato animalesco del personaggio." La giovane è anche nota come cantante. Le è dispiaciuto non poter cantare nel film, dove la musica ha una funzione importante? "No, Cynthia Erivo ha fatto un ottimo lavoro. Adoro cantare, ma eravamo tutti felici di avere Cynthia sul set."
Si passa quindi alla sceneggiatura, che gioca con i piani temporali e i punti di vista: "I film nascono dall'amore, l'amore per i personaggi", dice Goddard. "Adoro lavorare sui personaggi, provare empatia per loro. La struttura può sembrare complicata, ma era dettata da chi dovesse essere il protagonista di una determinata scena. Mi piacciono i film dove il protagonista non è ben definito." Tra questi sette protagonisti c'è anche Chris Hemsworth, già diretto da Goddard in Quella casa nel bosco, qui nelle vesti inedite di cattivo. "Lavoro con Chris da oltre dieci anni, e mi piaceva dargli un ruolo diverso. Sapevo che ha un lato oscuro, ed è stato bello mostrarlo al pubblico."
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I tempi che corrono
Qual è l'importanza del film nell'era del #MeToo? "Ho iniziato a scriverlo cinque anni fa, quindi non era intenzionale", chiarisce il regista. "Purtroppo i mali che sono venuti a galla negli ultimi tempi non sono una novità. È un bene che vengano sottolineati adesso, ma il film parla di mali universali, come il sessismo e il razzismo, che esistono da sempre." Viene azzardato un paragone con The Good Place, serie televisiva di cui Goddard è produttore esecutivo e regista. "Per me sono due facce della stessa medaglia, una commedia e un noir molto cupo che affrontano temi simili." Cosa pensa del ritorno di Charles Manson nella cultura popolare, dato che anche in 7 sconosciuti a El Royale viene affrontato il discorso di una setta? "Non è casuale, secondo me. Il mio film parla in parte di una setta, e lui simboleggia quella realtà. Inoltre siamo in tanti, oggi, ad affrontare la questione della mascolinità tossica, e Manson rientra in quella categoria."
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Questioni tecniche: un film su pellicola
È stato difficile girare quasi tutto il film in un'unica location? "Più del previsto. La storia dura dodici ore, le riprese sono durate un paio di mesi. Abbiamo dovuto girare in ordine cronologico e fare molta attenzione alla continuità, tipo bottiglie rotte e simili. È stato molto utile per gli attori, perché la progressione dei personaggi durante le riprese corrisponde alla sceneggiatura." Interviene anche Cailee Spaeny: "Sì, quello è stato molto bello. Girare in ordine cronologico è il sogno di ogni attore." Perché girare in pellicola? "La risposta intellettuale sarebbe che è un omaggio al periodo in cui è ambientato il film, ma la realtà è che preferisco la pellicola", afferma Goddard. "Mi piace la grana, e il lato emotivo che emerge dalla pellicola non è replicabile in digitale. Ho girato in formato anamorfico perché ho sette personaggi e volevo che fossero tutti visibili. Mi sono basato molto su Sergio Leone, quando i personaggi arrivano all'albergo è come i pistoleri alla stazione in C'era una volta il West."
Nel panorama cinematografico odierno si tende a dare la priorità ai sequel e ai remake. È più difficile girare un film originale? "Sì, perché non è la priorità degli studios", dice il regista. "Ma credo che gli interessino anche buone storie, e non mi posso lamentare perché hanno finanziato il mio film. Non mi preoccupo troppo delle mode, io scrivo quello che vorrei vedere come spettatore, e di solito riesco a portarlo sullo schermo." Andando a ritroso nella sua carriera, Goddard ha iniziato sul piccolo schermo, scrivendo episodi di Buffy - L'ammazzavampiri, Alias e Lost. Quanto sono state utili le serie per arrivare al cinema? "Sono molto contento di aver iniziato in TV, soprattutto perché ho lavorato con Joss Whedon e J.J. Abrams, che trattavano ogni episodio come se fosse un piccolo film. C'era un tocco molto cinematografico nelle loro serie, e ho imparato il mio mestiere da tutte le persone coinvolte in quei progetti."
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Ispirazioni notevoli, da Tarantino ai Coen
Nel film è riscontrabile uno spirito accostabile sia a Quentin Tarantino che ai fratelli Coen. È voluto? "Quentin è stato rivoluzionario, se sei cresciuto negli anni Novanta è inevitabile essere influenzati da lui" ammette Goddard. "I Coen invece mi hanno ispirato perché non hanno paura di passare da un genere all'altro e provare cose nuove. Prima delle riprese ho fatto vedere alla troupe Barton Fink - È successo a Hollywood, che ha influenzato il design dell'albergo." Tornando ai personaggi, i ruoli sono stati scritti per gli attori che li interpretano? "Scrittura e regia sono due cose separate per me. Quando scrivo mi vesto in un modo, quando dirigo in un altro. Mentre scrivo non penso al casting, al budget, eccetera. Una volta che ho finito di scrivere, licenzio lo sceneggiatore e comincio a pensare al resto." Ci sono state delle modifiche in post-produzione rispetto alle idee iniziali? "Sì, il luogo comune è molto vero: il film si scrive tre volte, in fase di sceneggiatura, durante le riprese e poi in sala di montaggio. Per me il montaggio è un momento carico di emozione, e avere un cast simile è un sogno per i montatori." A proposito del cast, l'ultima domanda è per Cailee Spaeny: che tipo di regista è Drew Goddard? "Gli interessano le persone, e fa in modo di essere circondato da gente che ha a cuore il progetto. Eravamo tutti felici di stare su quel set. A volte era spaventoso, perché capitano degli imprevisti, ma nel complesso è stata un'esperienza felice per tutti." Il cineasta aggiunge una postilla finale in merito: "Quando vedo il film vedo le anime del cast e della troupe, e sono molto contento."