La storia è ambientata in Indonesia nel 2032, in un futuro imminente che non sembra molto diverso dal nostro presente, come sempre i ricchi continuano a sfruttare la povera gente. Gaspar è un detective dai metodi insoliti, che ha suscitato la simpatia e talvolta persino l'ammirazione della popolazione locale per via delle sue peculiarità. Durante una delle sue ultimi indagini, riguardante un massacro di massa che coinvolgerebbe anche il governo, si imbatte in un informatore che gli fornisce indizi riguardo alla sua amica d'infanzia Kirana.
Come vi raccontiamo nella recensione di 24 ore con Gaspar, tutto conduce alla figura di Wan Ali, un trafficante di esseri umani nonché a Bachtiar, un altro delinquente. Il protagonista, in compagnia della sua "discepola" Agnes e di altri volenterosi, decide di condurre la sua personale crociata contro Wan Ali, che lo coinvolge ancor più intimamente in quanto il boss è legato direttamente a un evento traumatico della sua infanzia.
Dall'Indonesia con furore
Un regista ambizioso Yosep Anggi Noen, che già con il suo precedente lavoro The Science of Fictions (2019) aveva cercato di trovare una nuova idea di cinema indigeno, in una scena conosciuta dal grande pubblico soprattutto per l'ondata di action-movie post The Raid (2011). E anche in questo suo nuovo lavoro, sbarcato nel catalogo di Netflix come original, dimostra di avere uno stile personalissimo, forse ancora parzialmente grezzo ma ricco di un fascino selvaggio. E così questa detective story sospesa tra azione e commedia, noir ed elementi sci-fi, possiede un'anima dark che ben si ibrida alla caratterizzazione del protagonista e dei personaggi che lo circondano, immersi in un mondo grigio e cupo - la fotografia gioca un ruolo importante nel farsi specchio di una società sull'orlo dell'abisso - e pronto a rispondere al male con la stessa moneta.
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Dalla carta allo schermo
Alla base vi è l'omonimo romanzo del 2017 di Sabda Armandio e almeno in un elemento chiave la sceneggiatura ricorda quella del quasi omonimo action hollywoodiano Le ultime 24 ore (2017), dove a Ethan Hawke rimaneva soltanto un giorno esatto di tempo per completare la sua missione prima che sopraggiungesse la morte. Medesimo destino che tocca qui a Gaspar, con tanto di timer in sovrimpressione su schermo ad aggiornare il countdown. Nel mezzo una storia che viaggia sui rapporti umani presenti e quelli passati, con diversi flashback ambientati quando il Nostro era ancora un bambino e che spiegano il suo complesso rapporto con quel villain che più villain non si può, destinato a quella resa dei conti che si tinge di note ulteriormente drammatiche.
Ciak, azione
Non mancano un paio di combattimenti a mani nude di discreta fattura, un inseguimento su due / quattro ruote, dita mozzate e così via, all'insegna di dinamiche di genere ben integrate con l'anima più scanzonata dell'operazione, che comunque vive su quella doppia essenza tra leggerezza e tragedia, epopea tragicomica di un antieroe sul viale del tramonto. Il contesto distopico, dove sono sempre i più sfortunati a pagare le conseguenze maggiori, è puramente accessorio in quanto il futuro prospettatoci altro non è che l'ideale proseguimento del tempo che stiamo vivendo. Reza Rahadian è perfetto nei panni del protagonista, in un cast variegato al punto giusto, e poco importa se a tratti la narrazione sembra perdere parzialmente l'equilibrio e sbilanciarsi da un lato o dall'altro, giacché l'ora e mezzo di visione riesce a intrattenere con qualche spunto più efficace e stiloso del previsto.
Conclusioni
Un detective dai metodi spicci, che scopre di avere soltanto ventiquattr'ore da vivere, si mette sulle tracce di un losco trafficante di esseri umani, con il quale ha un conto in sospeso da molto tempo, riaprendo vecchie ferite in nome di quella giustizia che, in un futuro prossimo allo sfascio, può essere presa solo con la forza, in un Indonesia senza legge. Come vi abbiamo raccontato nella recensione di 24 ore con Gaspar, ci troviamo davanti a un film ricco di spunti e suggestioni, sospeso tra violenza e ironia, dramma e commedia, con un paio di spunti fantastici e un'ambientazione pseudo distopica in realtà specchio ideale di un presente crudele. Una sceneggiatura ricca, a tratti anche troppo, dove non tutto funziona ma i punti di forza superano le debolezze strutturali, all'insegna di un accattivante intrattenimento di genere.
Perché ci piace
- Un cast in palla.
- Il regista Yosep Anggi Noen ha personalità e uno stile che non passa inosservato.
- La commistione di generi a tratti funziona...
Cosa non va
- ...e a tratti complica inutilmente il quadro generale.