Dopo aver diretto incisivi ritratti dedicati ad Ayrton Senna, Amy Winehouse, Diego Armando Maradona e Roger Federer, Asif Kapadia sposta lo sguardo sulla situazione globale per lanciare il suo grido d'allarme. E lo fa innestando nella forma documentaria tradizione un inserto fictional che trascina lo spettatore in un universo post-apocalittico. La premessa è tanto semplice quanto agghiacciante. Siamo nel 2073 e il mondo ha accelerato la sua corsa verso la catastrofe in una società in cui i droni invadono il cielo plumbeo mentre tutto intorno si respira morte e violenza. I pochi sopravvissuti si nascondono sotto terra, al buio, tormentati dai ricordi della vita passata.
A far da guida in questo inferno di buio e rovine che è New San Francisco (nota di colore che rievoca scenari alla 1997: Fuga da New York), capitale d'America, anzi, 'delle Americhe' post catastrofe è Samantha Morton, non nuova al genere sci-fi vista la sua partecipazione a pellicole quali Codice 46 e Minority Report. In 2073, Morton è un fantasma che vive sotto terra, nascondendosi ai droni ed esplorando gallerie e i corridoi con una vecchia torcia. Ogni volta che chiude gli occhi, viene bersagliata con le immagini di un passato caotico e disperante, che è poi il presente in cui viviamo.
2073: possibili soluzioni per evitare la catastrofe
Dichiaratamente ispirato a La Jetée di Chris Marker, 2073 è un documentario apertamente politico e a tesi. Il cambiamento climatico e il ritorno dei totalitarismi sono i fatti che ad Asif Kapadia sta maggiormente a cuore denunciare. Per farlo costruisce un film di montaggio attuale e angosciante che utilizza stralci di interviste di politici, frammenti di reportage, immagini di catastrofi naturali e materiali vari per andare a costruire la memoria di un passato misteriosamente cancellata dalla mente dei sopravvissuti.
Mentre le invettive di Trump, le immagini di Putin o del leader indiano Modi scorrono sullo schermo, a rappresentare il pericolo presente, Kapadia si concentra su quelli che, a suo parere, sono i responsabili dei principali cambiamenti dell'epoca in cui viviamo: i leader della Silicon Valley. Da Zuckerberg a Jeff Bezos, da Elon Musk al co-fondatore di Paypal, l'ultraliberista Peter Thiel, in questa manciata di miliardari Asif Kapadia identifica i "colpevoli". Di cosa? Di non essere stati in grado di fare abbastanza per il pianeta o di propagandare idee nocive (Thiel è un sostenitore di Trump). Ma i boss dell'hi-tech sono, al tempo stesso, coloro che potenzialmente, grazie all'impatto dei media, sarebbero in grado di rovesciare la tendenza influenzando i fruitori di internet. Naturalmente non manca il riferimento all'intelligenza artificiale, il cui sviluppo ha avuto un fortissimo impulso nel 2017 per poi arrivare a oggi, dove l'uso dell'AI minaccia di spazzar via migliaia posti di lavoro, impoverendo le nazioni e frustrando la creatività umana.
Troppa carne al fuoco
In questa raffica agghiacciante di immagini che annoverano rivolte, repressioni violente di manifestazioni da parte della polizia, ghiacciai che si sciolgono, uragani e foreste che bruciano, unite all'uso di voiceover che snocciolano dati poco rassicuranti (sapevate che il 72% degli stati mondiali è governato da regimi autoritari?), Asif Kapadia mette in guardia il pubblico.
Lo scopo del documentario è lampante, ma è difficile chiudere un occhio di fronte alla ridondanza e alla reiterazione di temi e avvertimenti che appesantiscono la pellicola. Inoltre sfugge il senso della necessità di utilizzare una cornice fictional per inquadrare un contenuto talmente attuale da passare quotidianamente sotto gli occhi dei telespettatori di ogni nazione del mondo. La presenza di Samantha Morton è sempre piacevolissima, ma in questo caso risulta davvero gratuita, appesantendo un film già di per sé difficile da mandar giù. Una struttura più snella avrebbe senza dubbio giovato maggiormente agli scopi di Kapadia.
Conclusioni
Nel tentativo di sensibilizzare l'opinione pubblica sui rischi della deriva che sta imboccando il nostro mondo - dalla crisi climatica alla deriva autoritaria dei governi - Asif Kapadia costruisce un film parte fictional parte documentario che riunisce una grande quantità di materiali giornalistici legati all'attualità. Il messaggio è forte e chiaro, ma il film risulta ridondante e poco ispirato.
Perché ci piace
- L'impegno militante di Asif Kapadia.
- Il tentativo di veicolare un messaggio di vitale importanza rivolgendosi anche alla fiction.
Cosa non va
- A lungo andare, le immagini che veicolano sempre gli stessi concetti finiscono per rendere il film monotono e monocorde.
- La parte sci-fi, dominata dalla voiceover di Samantha Morton, non funziona come dovrebbe.