Fissa da una settimana al secondo posto della Top 10 seriale di Netflix, 1899 può dire di aver attirato l'attenzione del grande pubblico. Accolta con equilibrato entusiasmo dalla critica (e vi rimandiamo alla nostra recensione di 1899 per approfondire) e grande curiosità dagli spettatori, la nuova serie ideata da Baran bo Odar e Jantje Friese si dimostra un complicato quanto intrigante puzzle da risolvere, con i primi otto episodi a comporre per intero il contorno.
I piani degli autori consistono in tre stagioni complessive, come già accaduto per Dark, il che significa che siamo appena agli inizi, che quanto visto finora ha solo scalfito la superficie di un prodotto molto più complesso, ambizioso e immaginifico delle sue premesse. Regista e sceneggiatrice danno però modo di risolvere il primo e gravoso mistero che pende sulle vite dei tanti protagonisti in gioco, e lo fa come da manuale negli ultimi cinque minuti del finale di stagione di 1899 - per altro proprio intitolato "La chiave" -, rispondendo sì a una grande domanda ma ponendone anche di nuove e molto importanti. Ne parliamo di seguito, analizzando ovviamente il finale senza lesinare in spoiler. Se non avete avuto modo di concludere la stagione, vi invitiamo dunque a non proseguire oltre.
Il viaggio
Per arrivare dove vuole, 1899 ci mette un po' troppo e soprattutto con pathos e una narrazione profondamente dilatata. Per quanto ricercate e mutevoli, le ambientazioni tendono a ripetersi di continuo e i tanti co-protagonisti a non imporsi a dovere, alcuni più comparse che in effetti comprimari. Ripetiamo: siamo solo all'inizio e l'ottavo episodio ci dimostra che di fatto quanto raccontato è ancora poco e volontariamente abbozzato. Il viaggio per arrivare alla meta è quindi a un terzo del suo percorso ma ecco la cosa interessante: il secondo tratto da percorrere sarà completamente differente da quello lasciatoci alle spalle. Come si scopre a fine stagione, infatti, quella che Maura (Emily Beecham) e i restanti passeggeri del transatlantico Kerberos stanno vivendo è in verità una grande simulazione. La cosa si intuiva già in coda al secondo episodio, ma mancavano le coordinate. Non una grossa novità, a dire il vero, considerando prodotti come Matrix o Black Mirror, eppure appassionante in virtù della scelta d'ambientazione a ridosso dell'avvento del ventesimo secolo e in mezzo all'oceano, in movimento.
Che qualcosa non andasse lo confermavano la scomparsa improvvisa del Prometheus, i tanti gingilli tecno-analogici mostrati un episodio dopo l'altro, la misteriosa piramide in mano al Bambino, le botole sotto i letti delle cabine principali e il suicidio di massa della stragrande maggioranza dei passeggeri. In realtà non c'è mare, non c'è piroscafo e non c'è migrazione, o almeno non come ci sono stati presentati inizialmente. Scopriamo che Maura e i restanti passeggeri si trovano in verità a bordo della Prometheus, che è una nave ma spaziale e in viaggio nel cosmo profondo in quella che viene descritta come "missione di sopravvivenza". Ci troviamo nel futuro, per l'esattezza nel 2099 (forse il titolo della seconda stagione?), e ad avere in realtà il controllo della Simulazione e del programma è il fratello di Maura, Ciaran, anche se a creare la Simulazione sono stati proprio Maura e il marito Daniel (Aneurin Barnard), probabilmente per salvare il figlio morente, Elliot (nient'altri che il misterioso bambino).
1899, la recensione della nuova serie Netflix: misteri in alto mare
Matrioska
La Simulazione rappresenta in 1899 una metafora. Il viaggio dei migranti verso l'America, che è un po' la terra promessa del domani per i popoli del Vecchio Continente, è analogia del superamento di un profondo dolore. Questo non deve essere dimenticato in profondità, nel subconscio, ed è anzi probabilmente il motore della Simulazione stessa, almeno ragionando sul singolo e sulle sostanze che abbiamo visto iniettare nel collo di Elliot (bianca) e in quello di Maura (nera). Mediante il dolore è probabilmente possibile vivere a pieno la Simulazione dimenticandosi della realtà. Se l'America rappresenta l'approdo ultimo ma il dolore e i ricordi di chi ha sofferto non devono essere dimenticati, la destinazione della Simulazione non può essere raggiunta finché non sarà consciamente interiorizzato e superato. Allo stesso tempo, la Nave - Kerberos - rappresenta il cervello umano, dove ogni cabina è connessa alla mente del suo ospite e dove sotto ogni letto si scende in profondità nei ricordi più neri dei passeggeri.
È come calarsi nel subconscio, ed è però interessante che ad aprire le porte della mente e spalancare questi ricordi ci pensi uno scarabeo, che nell'antica cultura egizia era proprio simbolo di rinascita e resurrezione, sostanzialmente mezzo di scoperta del vero e di un'altra realtà, quella superiore. A quanto pare sono tutti bloccati nella Simulazione, che a conti fatti - ma ancora superficialmente - sembra essere quasi una sorta di sonno criogenico o stasi imposta per sopperire alla lunghezza del viaggio interspaziale. Poco si sa sulla Piramide nera che svetta spesso alle spalle del padre di Maura e dove sembra proprio che la stessa dottoressa e il marito abbiamo concepito la Simulazione e il progetto Prometheus, ma potrebbe trattarsi di una struttura del mondo del 2099 o di qualcosa di alieno e sconosciuto.
A incuriosirci è però un dettaglio. Ogni qual volta i passeggeri del Prometheus si destano dal sonno nella Simulazione, nei loro occhi compare il simbolo triangolare e si sente una voce che sussurra: "Sveglia". Questo indica il proseguire della stessa e più a fondo il perdurare del loop in cui sono tutti intrappolati. Ma ecco la cosa curiosa: nel finale, nelle pupille di Maura, vediamo lo stesso simbolo mentre la telecamera si tuffa nei suoi occhi per sfumare poi al nero. E se anche questa del 2099 fosse un'altra Simulazione? Magari guidata da Ciaran? Significherebbe che il caffè non ha ancora avuto effetto.