E venne il giorno dell'Albania. Giunto in gran forma all'undicesima edizione, il Genova Film Festival non smentisce la sua fama di manifestazione attenta alle realtà cinematografiche emergenti, siano esse produzioni nostrane piuttosto che un riflesso di tradizioni culturali lontane e ancora poco note, perché marginalizzate dalla cronica disattenzione della distribuzione italiana. Questa prospettiva ha portato a valorizzare sempre di più, nel corso degli anni, una sezione come "Oltre il confine", vetrina preziosa che continua ad ospitare cinematografie straniere altrimenti misconosciute, poco studiate, distanti comunque dalle rotte frequentate dal grande pubblico. Nel recente passato sono stati film norvegesi, sudafricani, ungheresi, rare animazioni russe, documentari realizzati presso il popolo Sami (ovvero lappone!) ed altre chicche non meno sfiziose ad arricchire questo spazio. Nell'edizione 2008 (svoltasi a Genova tra il 30 giugno e il 6 luglio) due eventi distinti hanno caratterizzato "Oltre il confine": un omaggio al cinema di animazione spagnolo e una retrospettiva sul cinema albanese quanto mai ricca di titoli e di opere.
La riuscita dell'evento dedicato al piccolo paese balcanico deve molto al fatto che Cristiano Palozzi e Antonella Sica, direttori artistici del Genova Film Festival, sono stati capaci di intrecciare proficui rapporti di collaborazione con il Tirana Film Festival, manifestazione di respiro internazionale presso la quale sono stati ospiti di recente; ed ecco a ricambiare la visita il vispo Ilir Butka, attivo come filmaker ma presente a Genova anche in rappresentanza del festival appena citato, di cui è direttore. Non si può certo trascurare una circostanza, e cioè che Ilir abbia vissuto per un certo periodo in Italia e padroneggi senza problemi la nostra lingua, oltre a possedere quella comunicativa schietta e sciolta da cui hanno tratto giovamento gli incontri con un pubblico attento, curioso, desideroso di confrontarsi con stimoli nuovi. Forse la sorpresa più bella è stata proprio questa: vedere decine di spettatori in sala ad orari improbi, sfidando i pomeriggi assolati di inizio estate, pur di non perdere quei film provenienti dall'Albania e dal Kosovo, che in più di un'occasione sono stati introdotti dagli stessi autori. Davvero esemplare il caso di Luan Kryeziu e Burim Haliti, giovani registi kosovari alla cui passione per il cinema e per il proprio paese, ancora martoriato da mille problemi, si devono rispettivamente Vendetta di sangue (Gjakmarrja, 2005) e Ferraglia (Hekurishtja, 2007); ovvero due cortometraggi girati benissimo, a livello tecnico e stilistico, capaci poi di stimolare riflessioni profonde a ridosso di una interpretazione di volta in volta allegorica, allusiva o sottilmente ironica della realtà di partenza, quasi sempre molto drammatica. Così come drammatica continua ad essere la situazione di chi intende girare film in un paese, il Kosovo, dove pare che al momento sia attiva una sola sala cinematografica, situata in quel di Pristina. Parlando con i due cineasti siamo venuti a sapere di questa e di altre anomalie, dovute per esempio alla difficoltà di reperire finanziamenti adeguati per la realizzazione delle proprie opere, senza dover rischiare ogni volta in prima persona.
Incuriositi dall'insolita presenza della piccola delegazione kosovara abbiamo finito per dar loro la precedenza, va detto però che il grosso della retrospettiva è costituito da lungometraggi di fiction, documentari e cortometraggi realizzati in territorio albanese. Tra i film scelti per far parte della rassegna ve ne sono alcuni di autori non del tutto ignoti in Italia, avendo comunque partecipato ai più importanti festival internazionali. Fa un certo effetto che nel corso di una stessa serata siano stati proiettati due piccoli capolavori come Slogans di Gjergi Xhuvani (Parrullat, 2001), presentato a Cannes diversi anni fa, e Tirana anno 0 (Tirana viti 0, 2001) di Fatmir Koçi, che era passato invece a Venezia. Dello stesso Xhuvani abbiamo scoperto un altro film, Caro nemico (I dashur armik, 2004), che è apparso un po' più scontato e "televisivo" nella messinscena, risultando comunque interessante in virtù di particolari scelte particolari legate all'ambientazione. Difatti ha tutto inizio nel settembre 1943, quando l'Italia dichiara la resa e anche in Albania si scatena la bagarre tra militari italiani in ritirata, tedeschi determinati a prenderne il posto con la forza e popolazione locale incerta su come comportarsi. In questo caso non c'era l'autore a parlarcene, ma dalla folta presenza di ospiti, sia registi che attori, la retrospettiva ha tratto ulteriori benefici; particolarmente significativo l'arrivo a Genova di Fatmir Koçi, conosciuto e apprezzato anche fuori dal proprio paese. Sono così emersi svariati aneddoti sulla sua filmografia e in particolare sulla lavorazione di Tirana anno 0, grottesco spaccato della nazione balcanica dopo la caduta del regime comunista di Enver Hoxha. Interessante annotare la presenza nel cast del formidabile attore tedesco Lars Rudolph (lo ricordiamo quale ispirato interprete de La principessa e il guerriero di Tom Tykwer e soprattutto de Le armonie di Werckmeister, elitario cult firmato dal maestro ungherese Béla Tarr), qui nei panni di un turista occidentale intenzionato a comprarsi addirittura un bunker, di quelli edificati sulle spiagge ai tempi della dittatura, dimostrando evidentemente di non accontentarsi dei soliti souvenir.
Molto altro si potrebbe dire su questa scuola così sorprendente, basterebbe soffermarsi su opere come Un racconto dal passato (Përralë nga e kaluara, 1987) o Padre e padrino (Gjoleka djali i abazit) di Dimithër Anagnosti, considerato un faro per il cinema albanese moderno non solo per la qualità dei suoi film, ma anche a causa di interventi legislativi che hanno saputo rilanciare, nei difficili anni del passaggio da un sistema economico all'altro, la produzione cinematografica nazionale. Tuttavia a Genova non si è vista soltanto l'Albania, sugli schermi del cinema Sivori sono passate diverse altre cose. Persino restando sul solco di "Oltre il confine", va registrato un secondo appuntamento che ha saputo appassionare e divertire il pubblico. Parliamo ovviamente dell'animazione spagnola, rappresentata a livello di ospiti da quel Pablo LLorens, i cui lavori con la plastilina possono risultare davvero esilaranti. A volte spunta fuori la parodia del thriller americano, a volte si fa il verso alla fantascienza degli anni '50 con trovate degne del Tim Burton di Mars Attacks!, fatto sta che in cortometraggi come Gastropotens (1989) o il più recente L'enigma del ragazzo crocchetta (El enigma del chico croqueta, 2004) vi è un crescendo di forsennato umorismo e di soluzioni grottesche, piccanti, ossessive, quasi sempre orientate verso il cibo e verso impensabili mutazioni corporee.
Dopo aver esaltato così tanto il prodotto estero, si rischia di eccedere in cattiveria se nel ripiegare su "Obiettivo Liguria", sezione riservata ai cineasti di casa, ci si lascia andare a sterili e improbabili confronti. Indubbiamente il campo ristretto dei potenziali partecipanti è l'anticamera di una selezione nella quale, per forza di cosa, finisce un gran numero di lavori semi-amatoriali, grezzi e tendenzialmente banalotti. Su questi stenderemo un velo pietoso. Vale la pena, invece, di sottolineare come quest'anno accanto a corti improponibili vi fosse una discreta rosa di opere dignitose, valide specialmente se realizzate sul fronte documentaristico. Molto bello, ad esempio, il ricordo della Genova che fu (non molto tempo fa) in Cornegliano - Nostalgia del mare, memorie di acciaio di Ugo Nuzzo. Un forte e giustificato impegno sociale, politico, si può cogliere invece in 100 volte donna di Elisabetta Ferrando, vibrante inno alla lotta per i diritti civili con alla base una ricerca d'archivo ed interviste di buon livello; come anche ne Il colore della memoria di Alberto Cozzutto, dolente ricostruzione della dittatura argentina attraverso i processi che di recente, proprio in Italia, hanno fatto nuovamente parlare dei "desaparecidos" e dei loro persecutori. Più carente il concorso sul piano della fiction, appare pertanto comprensibile il premio attribuito a L'inganno di Davide Balbi, corto in pellicola tra i più enigmatici e originali. Una citazione veloce la meritano anche il curiosissimo Scirocco di Gigi Piola, l'omaggio al cinema di poesia rappresentato da Silenzio di Sirena di Rino Alaimo, ed il coraggioso lavoro di uno spagnolo trapiantato in Italia, Carlos Mártinez Hurtado. Con la camera immobile a scrutare il disagio dei protagonisti, il suo In attesa sa riassumere in poche inquadrature e con assoluto rigore l'impatto di un'esistenza drammatica.
Può apparire stravagante, ma tanto ci siamo concentrati sulle sezioni collaterali, che ci rimangono pochissime righe per dire qualcosa sul Concorso Nazionale per Cortometraggi e Documentari. Con un po' di sfacciataggine proviamo a giustificarci così: chissà quanti avranno parlato solo di quello! In realtà non mancherebbero gli spunti, per comodità o per pigrizia ci limitiamo a dire che le scelte delle diverse giurie ci hanno lasciato moderatamente soddisfatti. Avrebbe meritato un po' più di attenzione, per la freschezza del soggetto e l'esuberante vitalità degli interpreti, Basette di Gabriele Mainetti, con un inedito Valerio Mastandrea nelle vesti di Lupin III in carne ed ossa. Ma anche la vittoria di Adil e Jusuf, con in primo piano l'esperienza drammatica vissuta a Roma da due fratelli di origine somala, non può generare rimpianti; il corto diretto con mano sicura da Claudio Noce, già vincitore di diversi premi col precedente Aria, si avvale peraltro dell'interpretazione di uno straordinario Giorgio Colangeli. Pensiamo sia giusto chiudere con il Premio della Critica, andato pure esso ad un cortometraggio capace di suscitare forti emozioni, Guinea Pig (La cavia) di Antonello De Leo; e qualcuno rimarrà sorpreso nell'apprendere che la protagonista del film è Fiona May, ex campionessa sportiva lanciatasi da poco nella carriera cinematografica!