Ho avuto più fortuna di chiunque altro. Certo, sono anche stato scalognato più di chiunque altro, nella storia del cinema, ma ciò è nell'ordine delle cose. Dovevo pagare il fatto d'aver avuto, sempre nella storia del cinema, la più grande fortuna.
Il trionfo e il fallimento: due aspetti da cui non si può prescindere nel contemplare la lunga carriera di Orson Welles, enfant prodige e genio incompreso, formidabile narratore e al contempo inguaribile bugiardo. Un uomo entrato nell'iconografia di Hollywood e negli annali della settima arte, sia per la sua personalità estrosa e per la sua inconfondibile presenza scenica, ma anche e soprattutto per il coraggio e l'inventiva con i quali ha saputo riscrivere le regole della messa in scena cinematografica.
Oggi, 6 maggio, si celebra il centenario della nascita del regista consacrato fin dal suo folgorante esordio, nel 1941, con Quarto potere, considerato ancora oggi il più importante film americano di tutti i tempi. Nato nel 1915 a Kenosha, in Wisconsin, cresciuto a Chicago e rimasto orfano nel corso di un'adolescenza a dir poco travagliata, Orson Welles ha saputo mettere a frutto un talento bulimico che, unito ad un'incontenibile dose di intraprendenza, lo ha indotto a cimentarsi nei campi più disparati, dalla radio al teatro, fino ad approdare, a soli venticinque anni, su un set della RKO.
Un itinerario, quello percorso da Welles, che si è sviluppato ai margini di Hollywood, e che è stato caratterizzato da occasionali successi, ma anche da clamorose cadute, dalle frequenti apparizioni come attore allo scopo di finanziare i propri film da regista e da una quantità incalcolabile di progetti incompiuti e mai portati a termine. Stroncato da un infarto nell'ottobre 1985, a settant'anni d'età, Orson Welles ha lasciato un'eredità artistica vastissima, talvolta discontinua ma di impressionante valore. Un'eredità che, in questo importante anniversario, proviamo a ripercorrere attraverso dieci tappe fondamentali di una carriera davvero unica e irripetibile...
1. Orson Welles e il teatro: Giulio Cesare
Appassionato di teatro fin dai tempi della scuola, Orson non ha ancora vent'anni quando vive le sue prime esperienze in qualità di attore e regista, prima alla Todd School di Woodstock e in seguito sui palcoscenici di Dublino. Nel 1934 approda a Broadway dove, in collaborazione con il produttore John Houseman, Welles realizza diversi spettacoli molto innovativi, come il Voodoo Macbeth basato sulla tragedia di William Shakespeare e l'opera musicale a sfondo sociale Cradle Will Rock. Nel 1937, Welles e Houseman fondano una compagnia chiamata Mercury Theatre, che debutta quello stesso anno con un allestimento destinato a segnare la storia del teatro: una dirompente versione del Giulio Cesare ambientata nell'Italia contemporanea, con il dramma storico di Shakespeare riproposto sottoforma di rilettura del fascismo. Lo spettacolo, che vede lo stesso Welles nel ruolo di Bruto, viene accolto da un enorme clamore e da roventi polemiche. Sulla carriera teatrale di Welles saranno incentrati i film Il prezzo della libertà di Tim Robbins (su Cradle Will Rock) e Me and Orson Welles di Richard Linklater (su Giulio Cesare).
2. Arrivano gli UFO: La guerra dei mondi
Il 30 ottobre 1938, fra gli americani si scatena il panico: la stazione radiofonica CBS, infatti, interrompe il normale palinsesto per annunciare, in un'edizione speciale del notiziario, che alcune navicelle spaziali provenienti da Marte sono appena atterrate a Grovers Mill, in New Jersey. Gli alieni sono arrivati sul nostro pianeta! Gli ascoltatori sono convinti infatti che i marziani stiano per invadere gli Stati Uniti, ma in realtà quello trasmesso dalla CBS è solo un adattamento, da parte di Welles, del romanzo di fantascienza di H.G. Wells La guerra dei mondi (che in seguito avrebbe ispirato anche il film omonimo di Steven Spielberg), raccontato però come se fosse una radiocronaca in diretta. Lo 'scherzo' di Welles ottiene un'enorme risonanza mediatica e procura a questo ragazzo di ventitre anni un contratto con la RKO Pictures.
3. Il cittadino Kane: Quarto potere
È il film dopo il quale il cinema non è stato più lo stesso. L'esordio più folgorante, celebrato, rivoluzionario negli annali della settima arte, realizzato da un ragazzo di venticinque anni a cui la RKO affida il controllo completo di un progetto di cui Orson Welles è allo stesso tempo regista, produttore, sceneggiatore e protagonista. Ispirandosi alla figura del potentissimo magnate della stampa William Randolph Hearst, Welles delinea magnificamente il ritratto del Citizen Kane del titolo originale: il cittadino Charles Foster Kane, la cui esistenza viene ricostruita, dopo la sua morte, mediante una struttura a flashback che si affida ai punti di vista di cinque diversi personaggi per rievocare la scalata al potere di Kane, la sua turbolenta vita privata e il tentativo di entrare in politica grazie all'appoggio dei giornali di suo possesso. Magistrale per il suo utilizzo del piano sequenza, del grandangolo e della profondità di campo, per il taglio espressionista della fotografia e il gusto barocco delle inquadrature, Quarto potere rimane una delle più straordinarie rappresentazioni del Sogno Americano rovesciato in incubo, ma anche una delle più profonde ed acute analisi sulle ambiguità dell'informazione, sull'intreccio fra i media e la politica, sulla ricerca del successo destinata a tramutarsi in un'ossessione divorante e autodistruttiva.
Indimenticabile l'incipit della pellicola, con la sequenza della morte di Kane all'interno del suo maestoso e spettrale castello, chiamato Xanadu, e il mistero sull'ultima parola da lui pronunciata, "Rosebud". Hearst, scandalizzato dai velati riferimenti alla sua persona, tenta in ogni modo di boicottare il film, intraprendendo una guerra mediatica contro Welles e provando ad acquistare la pellicola dalla RKO per distruggerla; per fortuna, nel settembre 1941 Quarto potere approda nelle sale statunitensi e pochi mesi più tardi ottiene nove nomination all'Oscar, facendo conquistare a Welles e a Herman J. Mankiewicz il premio per la miglior sceneggiatura originale. Eletto dall'American Film Institute al primo posto nella classifica dei migliori titoli del cinema americano, Quarto potere resta tutt'oggi un capolavoro irrinunciabile per ogni appassionato della settima arte.
4. Un capolavoro mutilato: L'orgoglio degli Amberson
Appena un anno dopo Quarto potere, Orson Welles si imbarca nella regia del suo secondo film: L'orgoglio degli Amberson, trasposizione per lo schermo dell'acclamato romanzo di Booth Tarkington. La pellicola, ambientata a Indianapolis a cavallo tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, racconta il declino della ricchissima famiglia degli Amberson, fra travagli amorosi e rivalità familiari, mettendo in scena il tramonto dell'aristocrazia di fronte all'incedere della modernità e all'avanzata di una nuova borghesia industriale. Interpretato da Joseph Cotten, Tim Holt, Dolores Costello, Anne Baxter e Agnes Moorehead, L'orgoglio degli Amberson è un altro eccezionale saggio di regia e di messa in scena, ma costituisce anche un caso emblematico di capolavoro 'mutilato': la RKO infatti, considerando l'opera troppo pessimista, sottrae a Welles il montaggio finale, tagliando oltre quaranta minuti di pellicola e imponendo un epilogo più speranzoso e rassicurante. Welles, che per Quarto potere aveva goduto di un'autonomia pressoché illimitata, si trova per la prima volta a scontrarsi con le imposizioni di Hollywood.
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5. Nel labirinto di specchi: La signora di Shanghai
Dopo i suoi primi due capolavori, Orson Welles sceglie di dedicarsi al genere thriller, girando e interpretando prima Lo straniero (1946) e poi, nel 1947, La signora di Shanghai, un sensazionale noir basato su un romanzo di Sherwood King. Welles si assegna il ruolo del marinario Michael O'Hara, trascinato suo malgrado in un losco intrigo in cui sono coinvolti anche il losco avvocato Arthur Bannister (Everett Sloane) e la sua giovane moglie, l'affascinante Elsa, conturbante femme fatale impersonata dalla diva Rita Hayworth, all'epoca moglie di Welles (benché il loro rapporto fosse ormai in rotta) e qui in un'inedita versione biondo platino. A decenni di distanza, La signora di Shanghai è ricordato soprattutto per l'elettrizzante finale, che si svolge all'interno del labirinto di specchi di un luna park, in cui le immagini dei protagonisti risultano moltiplicate e scomposte con effetto di grande suggestione; una scena superba, a cui Woody Allen ha reso omaggio nel 1993 nel divertentissimo Misterioso omicidio a Manhattan.
6. William Shakespeare al cinema: Macbeth e Otello
La grande passione di Orson Welles per William Shakespeare, già manifestata dieci anni prima sui palcoscenici newyorkesi, spinge il regista americano a cimentarsi nell'impresa di portare sul grande schermo le tragedie del Bardo. Ingabbiato nelle difficoltà di reperire i fondi presso gli studios hollywoodiani, Welles si rivolge a una produzione indipendente, la Republic Pictures, che gli mette a disposizione un budget di settecentomila dollari. Realizzato in appena tre settimane di riprese, Macbeth vede Welles nel ruolo dell'ambizioso aristocratico assetato di potere e Jeanette Nolan in quello della spietata Lady Macbeth. Benché tagliato di ben 26 minuti per volontà dei produttori, che impongono a Welles anche il ridoppiaggio dell'intero film (in origine gli attori recitavano in scozzese antico), il Macbeth del 1948 è un adattamento tenebroso e vibrante di tensione, caratterizzato da un estremo fascino dal punto di vista visivo.
Assai più travagliata è la lavorazione di Otello: Welles, che assume su di sé la parte del Moro di Venezia, comincia le riprese nel 1949, ma deve interromperle per mancanza di finanziamenti e riprenderle in seguito, investendo nel progetto anche il proprio denaro. Presentato al Festival di Cannes del 1952, Otello vince la Palma d'Oro come miglior film e viene accolto dalle lodi della critica europea, ma dovrà aspettare oltre tre anni prima di essere distribuito negli Stati Uniti. Welles sopperisce con ingegno invidiabile alla relativa povertà di mezzi della pellicola, messa in scena come un unico, lungo flashback, accentuando il taglio espressionista della splendida fotografia in bianco e nero e adoperando un montaggio dinamico e stupefacente. Suzanne Cloutier compare al suo fianco nel ruolo di Desdemona, mentre Micheál MacLiammóir è uno Iago sinistro e luciferino. Le riprese di Otello sarebbero state raccontate da Welles nel 1978 nel documentario Filming Othello.
7. Il mistero di Harry Lime: Il terzo uomo
"In Italia, per trent'anni sotto i Borgia hanno avuto guerre, terrore, omicidi, carneficine, ma vennero fuori Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera non ci fu che amore fraterno, ma in cinquecento anni di quieto vivere e di pace che cosa ne è venuto fuori? L'orologio a cucù". È il famosissimo monologo pronunciato da Harry Lime, l'uomo misterioso le cui tracce sono seguite dallo scrittore americano Holly Martins (Joseph Cotten), suo vecchio amico, in una Vienna oscura e minacciosa, ancora traumatizzata dagli orrori della Seconda Guerra Mondiale. La pellicola, Il terzo uomo, trasposizione di un racconto di Graham Greene ad opera del regista britannico Carol Reed, con il contributo di Welles alla sceneggiatura, non è solo una delle vette assolute del cinema noir, ma anche uno dei massimi capolavori della settima arte. Premiato con la Palma d'Oro al Festival di Cannes 1949, Il terzo uomo deve parte del suo successo anche e soprattutto al carismatico villain impersonato da Welles, alle prese con un personaggio entrato nell'immaginario collettivo.
8. Il tocco del male: L'infernale Quinlan
Uno degli incipit più celebri, strabilianti, ammirati e imitati negli annali della settima arte: sono i tre minuti e venti secondi di piano sequenza con cui si apre L'infernale Quinlan (in originale Touch of Evil), il film che nel 1958 segna il ritorno a Hollywood di Orson Welles, ingaggiato dalla Universal per dirigere un violento poliziesco basato su un romanzo di Whit Masterson. Passato alla storia in virtù di un piano sequenza oggetto di infinite citazioni, incluso l'esplicito ed ironico omaggio all'inizio de I protagonisti di Robert Altman nel 1992, L'infernale Quinlan è un vertice insuperato del cinema noir, calato in un'atmosfera inesorabilmente cupa e popolato da una galleria di personaggi memorabili: oltre al protagonista Charlton Heston, nel bizzarro ruolo del poliziotto messicano Mike Vargas, il cast include Janet Leigh, Marlene Dietrich, Akim Tamiroff, Zsa Zsa Gabor, Mercedes McCambridge e ancora una volta un magnetico Orson Welles. È lui, Welles, sguardo torvo, tono sprezzante e portamento massiccio, il mefistofelico Hank Quinlan, capitano corrotto della polizia, che finirà per scontrarsi con Vargas. La Universal bolla L'infernale Quinlan come un B-movie e taglia quasi venti minuti di film, reintrodotti soltanto quarant'anni più tardi in una versione restaurata.
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9. L'incubo del signor K.: Il processo
Espatriato in Europa dopo l'ennesimo maltrattamento da parte di Hollywood, nel 1962 Orson Welles torna dietro la macchina da presa per confrontarsi con uno dei capolavori della letteratura del Novecento: Il processo di Franz Kafka. Girato fra Parigi, Roma, Milano e Dubrovnik e presentato al Festival di Venezia, Il processo ricostruisce la surreale odissea giudiziaria dell'impiegato Joseph K. (Anthony Perkins), intrappolato suo malgrado in un meccanismo tentacolare ed incomprensibile, che assume i contorni di un'allucinata allegoria sulla condizione dell'essere umano nella società moderna. Welles, oltre a rivisitare con disinvoltura la fonte letteraria, costruisce una messa in scena che, ancora una volta, lascia senza parole per l'arditezza dei virtuosismi registici e per i giochi di luce ed ombra, e si ritaglia il ruolo dell'ingannevole avvocato Albert Hastler. Il variegato cast del film (considerato dallo stesso Welles uno dei suoi migliori esiti) comprende Jeanne Moreau, Romy Schneider, Elsa Martinelli e Arnoldo Foà.
10. Le campane di mezzanotte: F come Falstaff
Nel 1965, oltrepassata ormai la soglia dei cinquant'anni, Orson Welles decide di tornare al suo primo amore, William Shakespeare. Il terzo adattamento shakespeariano di Welles per il cinema, tuttavia, amalgama in un unico film elementi ripresi da un intero ciclo di opere del Bardo (Enrico IV, Enrico V, Le allegre comari di Windsor e Riccardo II) ambientate nell'Inghilterra del quindicesimo secolo, per ripercorrere la vicenda del giovane Principe Hal (Keith Baxter), il quale si sottrae ai doveri che vorrebbe imporgli suo padre, Re Enrico IV (John Gielgud), per trascorrere il proprio tempo fra bevute, imprese banditesche e spensierate buffonerie in compagnia dell'amico Sir John Falstaff. Ed è proprio lui, Falstaff, ubriacone e vanaglorioso, ad offrire a Welles uno degli ultimi, grandi ruoli della sua carriera d'attore: Welles, da sempre un irrefrenabile istrione, si cala mirabilmente nei panni di questo personaggio vitalistico, gioviale, spudorato, alfiere di un umanesimo puro ed ingenuo, contrapposto al potere incarnato invece da Enrico IV e, in seguito, da suo figlio Hal, che salirà al trono con il nome di Enrico V. Prodotto in Spagna con il titolo Campanadas a medianoche e presentato al Festival di Cannes 1966, Falstaff può essere ascritto fra gli apici indiscussi della filmografia di Welles, e costituisce l'ultimo lungometraggio di finzione del mitico regista americano, al quale seguiranno soltanto il mediometraggio Storia immortale (1968) e il documentario F come falso (1976), oltre a una serie di progetti incompiuti o naufragati prima ancora di iniziare, come troppo spesso è accaduto a questo genio sfrenato e donchisciottesco. Un genio nella cui parabola, contrassegnata da successi sorprendenti e ancor più sorprendenti sconfitte, è possibile intravedere tratti di Charles Foster Kane, di Falstaff e di tanti altri antieroi...