Scoop, la recensione: un'intervista regale, un principe senza corona e un film da non perdere

La recensione di Scoop: la storia vera dietro un'intervista da manuale e le grandi prove degli interpreti per un'opera che colpisce. Il film è in streaming su Netflix.

Scoop, la recensione: un'intervista regale, un principe senza corona e un film da non perdere

"Chi soffre di fissazioni, non le riconosce mai come tali" affermava Freud, e nella società dell'immagine l'ossessione che ci assilla è lo scrutare la vita altrui, lasciarsi sopraffare dalle ascese, ma soprattutto dalle cadute degli idoli, delle star, e anche dei regnanti. Del resto è la caduta dell'eroe, non il suo successo a conquistarci. Il caso Jeffrey Epsetin è stata un'onda d'urto che ancora oggi non si è ritirata: la marea ha investito gli schermi, le pagine dei giornali, trascinando a fondo anche chi in quello scandalo si è ritrovato complice, come il principe Andrea d'Inghilterra.

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Scoop: una scena del film

Come sottolineeremo in questa recensione di Scoop, c'è qualcosa di magnetico, di coinvolgente, nel film diretto da Philip Martin e disponibile su Netflix. Un film che attira, come lo scorrere delle parole in una notizia lanciata all'ultimo minuto. L'apparente canonicità delle riprese, il montaggio lineare, senza idiosincrasie o slanci virtuosistici, è una lettura semplice, accessibile a tutti, come una pagina di un giornale, o un'ultima ora al telegiornale. Una storia che vive di barlumi di cronaca e illuminata da qualcosa di già visto, perché già vissuto, capace però di vestirsi con un abito inedito, nuovo, con cui sconvolgere ancora il proprio pubblico, come se fosse la prima volta.

Scoop: la trama

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Scoop: Rufus Sewell in una foto

Basato sul libro Scoops: Behind the Scenes of the BBC's Most Shocking Interviews, scritto da Sam McAlister, Scoop segue le fasi che hanno portato la redazione del programma Newsnight della BBC a intervistare il Principe Andrea a seguito dello scandalo Epstein che lo ha visto coinvolto. Dalla tensione delle complesse trattative della produttrice Sam McAlister (Billie Piper) con Buckingham Palace, fino alle sconvolgenti prove della scientifica con cui Emily Maitlis (Gillian Anderson) sfida il principe Andrea (Rufus Sewell), Scoop ci porta nel vivo della storia, seguendo il coraggio e l'audacia di donne pronte a tutto, anche ad allontanare il principe dai suoi ruoli pubblici, pur di portare la verità a galla.

Le menti dietro la notizia

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Scoop: Keeley Hawes in un'immagine

Nessuna notizia avrebbe la stessa valenza se non vi fosse qualcuno al centro di essa, e soprattutto qualcuno nascosto dietro alla sua costruzione; qualcuno che la scriva, la manovri, la restituisca sapendo su quali accenti puntare e su quali fattori premere. È l'abilità di captare l'interesse mediatico e manipolarlo, anticipando lo slancio voyeuristico della società attuale, e soddisfarlo di nuovi scandali. Ed è proprio ancorandosi ai volti dei suoi attori che la ripresa di Philip Martin trascina lo scorrere della sua opera, senza forzature, ma immergendo lo spettatore in una dialettica magnetica, fatta di botte e risposte radicate nella quotidianità, e per questo credibili.

Riprese d'assalto, sguardi imperturbabili

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Scoop: Gillian Andeson e Billie Piper in una scena del film

Passando con abilità da campi medi, a primi piani carichi di pathos, la cinepresa di Martin indaga come un reporter d'assalto la natura delle emozioni dei propri personaggi; li lascia sbagliare, pensare, agire, con apparente indipendenza, sulla scorta di un libero arbitrio che ci dimentichiamo essere imposto dalle mani di uno sceneggiatore. Le distanze tra attore e spettatore si riducono pertanto fino al grado zero, complice una parata di interpreti dove al trucco, alle lenti colorate, alle protesi facciali e quelle corporee, preferiscono restituire una vicinanza più profonda, intima, con i propri personaggi di riferimento, in un dialogo diretto con un'anima rubata, interiorizzata e ora restituita sotto nuove (mentite) spoglie. I vestiti, gli stessi per Sam in ogni fase di preparazione all'intervista televisiva, sono elementi simbolici di un tempo che pare essersi fermato, ripetendosi uguale a se stesso, giorno dopo giorno, incontro dopo incontro.

Ma sono i corpi che riempiono quegli abiti, e gli sguardi inflessibili, eppure mimetici, capaci di restituire con una sola alzata di sopracciglia, un intero tsunami interiore, che fanno di Scoop un'opera imperdibile perché tangibile, umana. Un'opera che vive dell'ambizione personale, alla ricerca della verità, della giustizia, ma senza inseguimenti, interrogatori, testimoni ascoltati e altri ignorati: Scoop non è Lo strangolatore di Boston e nemmeno Anche io - She Said. Scoop è un'opera che vive dell'essenza artistica ereditata dal patrimonio inglese, di quella costruzione scenica di carattere teatrale dove ogni esistenza si fa palcoscenico. Uno spazio dove tutti sono attori pronti a entrare in scena mai impreparati, con il copione imparato a memoria, e battute provate a menadito, così da non lasciare spazio all'improvvisazione, a domande non previste e risposte lasciata a vuoto.

Il mio regno per un'intervista

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Scoop: Keeley Hawes in una foto

"Forense, tosto, ma mai sensazionalistico": così viene descritto il programma _Newsnight al principe Andrea, ma utilizzando gli stessi aggettivi è possibile anche presentare un'opera come Scoop: l'unione di figure femminili pronte a svelare la verità, a prendere un reale e svestirlo fino alla sua natura umana e debole, fallace e fragile, con fare mai forzato, ma seguendo un percorso privo di ostacoli e apparentemente semplice da percorrere. Ogni battuta vive di un senso quasi documentaristico di narrazione oggettiva, senza fronzoli o imbellettamenti retorici, sostenuta da quell'umorismo tipicamente inglese che tanto ha segnato opere come The Queen, o la serie The Crown. Persiste in Scoop una lealtà rispettosa tanto all'importanza del giornalismo, quanto alla ricerca della verità, senza per questo denigrare eccessivamente quello che è il villain della storia, ossia il principe Andrea.

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Scoop: Gillian Anderson in una scena del film

Ciò che ne consegue è un braccio di forza tra l'essere umano - e quindi esposto alle cadute personali - e a quell'insistita dichiarazione di innocenza giocata davanti alla telecamera. Perché "un'ora di televisione è magica, può cambiare ogni cosa", lo dice la stessa Sam, basta giocare le proprie carte, farsi complici i propri spettatori, puntare sulla simpatia. Vive in Scoop il rimasuglio fantasmatico di un Frost/Nixon - Il duello attualizzato e condotto da una forza femminile altrettanto capace, come il suo predecessore, di farsi carico dell'interesse spettatoriale, sfruttando la caduta di una personalità intoccabile, per denudarlo della sua divinità. Una partita a tennis dove i toni freddi, glaciali, apatici di uno studio televisivo, si scontrano con quelli caldi di un nucleo domestico pronto a tradire, farsi teatro di un'intervista rivelazione.

I mille livelli di significato di un'opera apparentemente semplice

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Scoop: Connor Swindells in una scena del film

Scoop non è solo un'ora e quaranta di cinema in formato televisivo, così come Scoop non è solo un'opera biografica di carattere contemporaneo. Scoop è un costrutto multistratificato dove, nascosti sotto la superficie cinematografica, sussistono diversi livelli di lettura che dialogano con la nostra attualità e i sensi etici-morali che ci rendono dei buoni cittadini del mondo. Non da meno, batte nel cuore della pellicola la potenza della parola, scritta o modellata da uno schermo sempre acceso, capace di controllare i nostri pensieri. Ma Scoop è anche un saggio psicologico mai urlato, ma sospirato, sussurrato al proprio spettatore attraverso dettagli inseriti nello spazio di un piano americano, come peluche, pupazzi, e correlativi oggettivi di un'infanzia vissuta in maniera simbiotica con la figura di una madre soggiogata dal ruolo di regina. Un rapporto quasi edipico, di un figlio prediletto, che ricerca nelle proprie ossessioni tratti di una relazione mamma-figlio ormai andata perduta.

Barattare se stessi con il proprio personaggio

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Scoop: Rufus Sewell in una scena del film

E Rufus Sewell va al di là della somiglianza fisica con il suo Andrea: l'attore fa un passo indietro, barattando la propria personalità, il proprio fascino, e carisma, con quello del suo personaggio, in un scambio di identità perfetto, sorretto da una performance camaleontica e convincente; così come convincenti sono anche Billie Piper e Gillian Anderson nei panni di giornaliste che per un pubblico estraneo a quello inglese, non vanteranno la stessa risonanza mediatica del principe Andrea, ma che una volta filtrate dalla cinepresa di Martin si rivelano altrettanto capaci di bucare lo schermo, prendere per mano lo spettatore e inserirlo all'interno di una dama dove al posto delle pedine troviamo domande, insinuazioni, verità nascoste e ora rivelate. Per un "gioco" improvviso, cruciale, irresistibilmente attrattivo.

Conclusioni

Concludiamo questa recensione di Scoop sottolineando come il film diretto da Philip Martin e disponibile su Netflix riesca a raccogliere e restituire tutta la tensione, e la potenza di un'intervista con cui decretare il declino di una personalità come quella del principe Andrea. Ciò che ne consegue è una caduta dell'eroe, a favore di parole taglienti, capaci di orientare il pensiero pubblico, per accompagnarlo verso la verità e la giustizia (perlomeno quella mediatica). Una pellicola sostenuta da un'apparente semplicità registica e da un corollario di interpreti magnetici, credibili, capaci di barattare la propria personalità con quella dei propri personaggi.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.1/5

Perché ci piace

  • Le performance degli attori, in particolare quella di Rufus Sewell nei panni del principe Andrea.
  • I diversi livelli di lettura che un'opera come Scoop riesce a offrire.
  • L'impianto teatrale delle scene.
  • Il contrasto tra le luci fredde degli studi della BBC e quelli caldi di Buckingham Palace.
  • La presenza di peluche e giocattoli che rimandando a una fase infantile mai superata del principe.

Cosa non va

  • Il poco spazio lasciato ai momenti precedenti all'intervista.
  • Il poco spazio destinato all'indagine dei rapporti tra il principe ed Epstein.